Dal cambio della guardia alla Casa Bianca, il ritorno di Donald Trump nell’agone politico americano viene annunciato a giorni alterni.

L’eterno annuncio imminente

Ora giunge, alla vigilia del 4 luglio, l’ipotesi di un ennesimo annuncio imminente. A rivelarlo è la Cnn, precisando che nei giorni scorsi, Trump ha comunicato ai suoi soci l’intenzione di lanciare la sua campagna già questo mese per sfruttare l’andamento negativo dei sondaggi su Joe Biden e mettere in guardia i suoi potenziali rivali. Una decisione che è diventata ancora più urgente mentre cerca di rivendicare il controllo della sua immagine a seguito di una serie di rivelazioni dannose da parte del comitato ristretto della Camera che indaga sul suo ruolo il 6 gennaio 2021. Ma il suo desiderio di accelerare l’annuncio della campagna – abbandonando i precedenti piani di attendere fino a dopo le elezioni di metà mandato – è diventato ancora più profondo a seguito di un’audizione televisiva del Congresso sul comportamento di Trump durante gli ultimi mesi del suo mandato. Alcuni alleati di Trump hanno ammesso in privato che le audizioni pubbliche della commissione della Camera si sono rivelate più dannose del previsto, poiché gli investigatori del Congresso continuano a trasmettere frammenti di testimonianze giurate di attuali ed ex consiglieri Trump, minando le sue false affermazioni sulle elezioni del 2020 e sollevando nuovi interrogativi. Ma annunciare la corsa per il 2024 in questa fase sarebbe davvero una buona scelta?

Altre fonti vicine all’ex presidente sostengono che si tratti solo di rumors e che è piuttosto improbabile che un istrione come Trump opti per un annuncio informale, senza avvisare la stampa per garantirsi la massima copertura. I membri del suo staff avrebbero discusso di un potenziale evento di inizio luglio nel Michigan – uno stato critico -, scartato poi prima di qualsiasi pianificazione seria. Le stesse fonti, a cui la Cnn ha concesso l’anonimato per parlare apertamente di discussioni ravvicinate, hanno paragonato l’ambiente che circonda la decisione di Trump del 2024 alla sua prima campagna presidenziale nel 2016: caotica e disorganizzata con poca comprensione di chi, oltre a Trump, è al comando.

“Né con Biden né con Trump”

Un 4 luglio sottotono quello del 2022. Una ricorrenza che celebra la conquista dell’Indipendenza, ma che in queste ore sa di boccone amaro. La politica americana sembra aver perso effervescenza, il dibattito è assente, il carisma-quello reale-non pervenuto. Un Paese che deraglia, che restituisce un’immagine di decadenza che uno Sting errabondo raccontava così bene in Englishman in New York.

Gli elettori americani non vogliono né l’attuale presidente Joe Biden, né il suo predecessore Donald Trump, al ballottaggio del 2024. È questa la conclusione di un sondaggio condotto dall’Harvard Center for American Political Studies and Harris Poll. Gli intervistati si sono espressi sulla percezione della direzione del Paese: l’idea di base è che la maggior parte sostiene che gli Stati Uniti continuano a peggiorare, con meno di un quarto degli intervistati che credono, invece, che l’America sia sulla strada giusta. Queste convinzioni si confermano anche a proposito della direzione dell’economia americana: l’inflazione ormai è uno spettro ben peggiore di guerra e pandemia. Ben due terzi degli elettori è pronta a giurare che la propria situazione finanziaria stia precipitando, la più alta percentuale registrata fino ad ora su questo parametro. Non solo, gli elettori sono pessimisti sulla loro vita nel prossimo anno e 9 su 10 credono che la recessione sia ormai prossima.

Venendo alla corsa alla Casa Bianca, il tasso di approvazione del presidente Biden scende al record del 38%, sia come indice generale che su specifiche tematiche nelle quali riscontra il pollice verso degli elettori: economia, lavoro, lotta al terrorismo, immigrazione, affari esteri, pandemia, crimine e inflazione. Tuttavia, la battaglia elettorale pare non essere un gioco a somma zero in questo preciso momento: anche il tasso di approvazione del GOP appare in leggero declino per il terzo mese di fila. In linea generale, il tasso complessivo di approvazione del lavoro al Congresso raggiunge il misero risultato del 28%.

Sorprendono, invece, i tassi di approvazione delle figure politiche: Donald Trump, Bernie Sanders e Mike Pence sono le prime tre figure di spicco del gotha politico. Fuori dal podio, al 4 posto, Joe Biden. A testimoniare il fallimento della politica, la top 5 delle istituzioni preferite dagli americani: nell’ordine, i militari statunitensi, Amazon, la Polizia, i Centers for Disease Control e l’FBI. Una necessità di sicurezza che emerge anche dalle priorità scelte dagli elettori: diritti delle donne, armi e sicurezza nelle scuole. Alla domanda chiave se Biden dovrebbe ricandidarsi, il 71% risponde no, motivando la scelta con l’età e il cattivo operato; colleziona un 61% il no alla ricandidatura di Donald Trump. Le ragioni? Dividerebbe l’America, le troppe responsabilità circa i fatti di Capitol Hill ma soprattutto il suo essere “erratic”.

Trump un pericolo per la NATO?

Una delle penne al fulmicotone del Financial Times, Gideon Rachman, lo scorso 1° luglio pubblicava un articolo dal titolo inequivocabile: Trump 2024 is a threat to Europe’s security. Senza mezze misure il noto esperto di Esteri del quotidiano, sostiene che se l’Occidente a guida americana vuole vincere la battaglia militare, politica e culturale contro Vladimir Putin è necessario confermare i dem da subito: sia alle elezioni di mid term che nel 2024, qualunque dovesse essere il candidato dell’asinello. Rachman, alquanto scettico sulle capacità di difesa europea, tesse le lodi di Uncle Sam, vigorosamente persuaso che la Nato continuerà ad essere il pilastro fondamentale della sicurezza occidentale.

C’è da chiedersi, tuttavia, quanto affidamento si possa fare sulla tenuta del tempio costituzionale americano. Le audizioni legate ai fatti di Capitol Hill mostrano quanto la sicurezza delle istituzioni politiche americane abbia un problema strutturale, e questo è un grande grattacapo per gli alleati. Se Trump dovesse decidere di correre per il 2024 vincerebbe la nomination del GOP? E cosa implicherebbe per chi siede non solo a Roma o Berlino, ma soprattutto a Helsinki e Stoccolma, a seguito della svolta di Madrid?

Il rischio reale è che di fronte al malcontento dell’anziano gaffeur Biden, Trump potrebbe vincere di nuovo. Tornerebbero in ballo i suoi pregressi con l’Ucraina, le sue critiche alla Nato, la sua ammirazione per Putin. Si tratterebbe di una mina vagante piazzata sulle deboli costruzioni di questi mesi. Ma un dubbio nasce legittimo: l’idea dell’annuncio a sorpresa servirebbe a spezzare le aspirazioni della nuova stella che sorge nel firmamento repubblicano, Ron DeSantis. Il combattivo governatore della Florida, è ampiamente considerato il suo erede apparente e il più grande rivale per la nomina presidenziale repubblicana: ha 43 anni, è lontano dalle nefandezze di Capitol Hill e ha già collezionato un endorsement di primo piano come quello di Elon Musk.

“Che dire di DeSantis? È un repubblicano di Tucker Carlson o un repubblicano di Marco Rubio?”. Così chiosa Rachman alla fine del suo pezzo. Si tratta di un isolazionista o un neocon o qualcos’altro? Ma soprattutto: alla Nato potrebbe comunque andar bene?