Liberismo nazionalista. Così potrebbe essere descritta l’agenda per l’economia americana stilata da Donald Trump.Il nuovo Presidente eletto degli Stati Uniti è intenzionato a rispettare quanto detto in campagna elettorale. “Gli Usa ridurranno sostanzialmente le tasse e la regolazione sulle imprese, ma ogni azienda che lascia il nostro Paese per un altro, licenzia i suoi dipendenti, costruisce nuovi stabilimenti o fabbriche nell’altro Paese, e quindi pensa di rivendere i suoi prodotti negli Usa senza retribuzione o conseguenze, sbaglia!”, così ha twittato il tycoon, rimanendo in linea con le dichiarazioni pre-elettorali.Si ritorna dunque al “repubblicanesimo” delle origini, quello del quinto presidente americano James Monroe e della sua dottrina “America agli americani”. Sembra dunque essere finita l’epoca del “soft power” americano, esercitato attraverso i trattati internazionali di libero scambio come quelli che hanno formato la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e l’Organizzazione Internazionale del Commercio. Trump ha infatti espresso più volte la volontà di rivedere questi accordi e nel caso abrogarli, come riportava ancora il New York Times lo scorso 30 novembre. Liberismo sì, ma entro i propri confini.Le nuove nomine di Steven Mnuchin al dipartimento del Tesoro e Wilbur Ross a quello del Commercio sembrano confermare tale strategia economica. Mnuchin è già stato bollato come “scelta pro-establishment”, così era scritto sull’Huffington Post il 30 novembre scorso, considerata la sua carriera di ex banchiere di Goldman Sachs, imprenditore d’assalto e magnate di Hollywood. Steven Mnuchin è in realtà “un pesce piccolo” di quello che viene definito “establishment”, lo stesso HuffPost ammette che il nuovo responsabile del Tesoro “ha un profilo più basso di quello di chi lo ha preceduto”, in riferimento a Paulson jr, Segretario del Tesoro durante la presidenza Bush jr e Rubin, durante la presidenza Clinton. Il nuovo Segretario del Tesoro ha già dato sfoggio della sua “aggressività” politica, affermando di voler abrogare la Dodd-Frank (legge per la regolamentazione dei grandi istituti finanziari) e di abbassare le tasse “ancor più che sotto la presidenza Reagan”.La porta del dipartimento del Commercio è stata invece aperta da Wilbur Ross, quello che il Washington Post ha chiamato “il re della bancarotta”, per la sua capacità di acquisire imprese destinate al fallimento, rilanciarle e rivenderle guadagnando plusvalenze impensabili. Ross è però anche famoso per aver salvato nel 2000 alcune delle più grandi industrie dell’acciaio americano, inclusa la LTV di Cleveland. Per questo è stato riconosciuto come “nuovo alleato” dalla United Steelworkers, la più grande Unione di lavoratori del Nord America. Ed è proprio qua che Donald Trump si giocherà il consenso dei prossimi anni e una futura rielezione.Il tycoon dovrà infatti essere in grado di far coesistere questa “doppia anima” dell’economia americana. Da un lato il mondo finanziario, di cui sia Mnuchin che Ross ne sono rappresentanti, e dall’altro l’universo dell’economia reale. Quello della “Rust belt”, la cintura della ruggine, che comprende tutta la Pennsylvania e parte dell’Ohio, un tempo centro di produzione dell’acciaio, oggi snodo di disoccupazione. Deregulation e tutela del lavoratore americano sono due principi difficili da amalgamare. La deregulation attuata dal Presidente repubblicano Ronald Reagan ebbe come conseguenza, per esempio, l’aumento del tasso di disoccupazione dal 7.5% al 10.5% in un solo anno.Mentre la legge che deregolamentava il settore bancario, “Commodity Futures Modernization Act”, del 2000 contribuì all’aumento delle scommesse sui derivati, portando gli Stati Uniti dritti verso la crisi dei mutui sub-prime del 2008. Gli effetti di ciò furono visibili nell’aumento della disoccupazione dal 4.9% del febbraio 2008 al 10% dell’ottobre 2009. Un durissimo colpo per la middle class americana, prima vittima della crisi finanziaria. Isolazionisti e liberisti furono anche Calvin Coolidge e Herbert Hoover, rispettivamente trentesimo e trentunesimo presidente degli Stati Uniti nel periodo precedente e immediatamente successivo alla Grande Depressione del 1929. In particolare Hoover, liberista ortodosso, non intraprese la strada dell’interventismo statale nemmeno nella fase più acuta della crisi economica, lasciando invariati i negativi indicatori economici. Per questo nelle successive elezioni del 1933 non venne rieletto. Fu poi un massiccio programma di spesa pubblica, attuato dal Presidente Roosvelt, a far uscire gli States dal pantano della crisi finanziaria.Donald Trump dovrà dunque fare i conti con il passato per trovare la soluzione adeeguata a far convivere due mondi finora inconciliabili.

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