Di seguito due analisi sul Nagorno Karabakh per cercare di comprendere le diverse prospettive del conflitto.Bruno Scapini, ex Ambasciatore Italiano in ArmeniaL’attacco sferrato questo scorso 1° aprile da parte azera all’ auto-proclamatasi Repubblica del Nagorno Karabakh, costituisce certamente la più grave delle violazioni del “cessate-il-fuoco” operate da Baku dalla fine della guerra con l’Armenia del 1988/1993. Non si tratta, infatti, di un episodio isolato e sporadico riconducibile alla mano di qualche cecchino – come finora avvenuto nella maggioranza dei casi – , bensì di una vera e propria operazione militare predeterminata, preludio di una possibile ripresa della belligeranza tra i due Paesi.L’attacco è stato condotto con un impiego di mezzi e di uomini senza precedenti, impegnando quasi tutta la linea di contatto del fronte, e quello che più sorprende, in completo disprezzo della certezza di una reazione da parte dell’Armenia, Paese notoriamente tra i più preparati militarmente nell’ area euro-asiatica e legato alla Russia da una serie di accordi strategici. Come spiegare questa baldanza di Baku ? Quali motivazioni, e da parte di chi, si celano dietro questa improvvisa manovra?Le provocazioni dell’ Azerbaijan si erano fino ad ora limitate ad una paludata retorica di guerra, spingendosi in qualche caso ad effettuare solo delle circoscritte incursioni oltre confine. Ora invece qualcosa è intervenuto. Qualcosa che ha conferito alla dirigenza azera quel coraggio necessario a lanciare una pericolosa offensiva dagli esiti imprevedibili.La particolare contingenza internazionale, che vede oggi confrontarsi Stati Uniti e Russia per un dominio di influenza in questa regione euro-asiatica – rilevante per interessi legati alle fonti energetiche e ai loro transiti – e l’accentuato ruolo strategico che si intende riconoscere alla Turchia da parte di Washington – e per conseguenza ai suoi “ fratelli “ azeri – spiegherebbe il “coraggio” mostrato da Baku nel porre in essere una tale provocazione, di certo destinata a destabilizzare il dialogo di pacificazione condotto tramite l’ OSCE, per intimidire l’ Armenia e indurla ad ammorbidire le proprie posizioni negoziali.Conseguenze di questa azione sarebbero pertanto principalmente due: da un lato l’efferatezza dell’attacco non mancherà di irrigidire l’atteggiamento armeno, e in particolare della popolazione del Nagorno Karabagh non più disposta ad accettare la sottomissione al regime dittatoriale della famiglia Alijev, con allontanamento di ogni possibilità di pacificazione nei termini fin qui prospettati dall’OSCE; dall’altro l’attacco, slatentizzando le ipocrisie di una diplomazia arroccata su interessi legati al petrolio e al gas – di cui l’ Azerbaijan è peraltro grande produttore ed esportatore – ha messo chiaramente in luce la circostanza che la preferenza occidentale per un Azerbaijan partner energetico verrebbe verosimilmente ad incontrare il rischio di un blocco dei suoi transiti petroliferi e gasiferi qualora l’ Armenia, vedendosi aggredita, venisse indotta ad intervenire direttamente sulle “pipeline” azere. Un tale scenario – ipotizzato recentemente nelle dichiarazioni di un alto esponente del Govrno armeno -, sebbene non auspicabile per i risvolti geopolitici gravidi di rischi di escalation per una guerra allargata che si prospetterebbe nell’area, potrebbe tuttavia divenire realistico se da parte occidentale non si vorrà spingere il negoziato verso una sostanziale considerazione delle aspirazioni del Nagorno Karabagh ad acquisire una autonoma sovranità e riconosciuta indipendenza.Daniel Pommier Vincelli (1975) è Ricercatore a tempo determinato di Sociologia dei fenomeni politici presso il dipartimento di Comunicazione e ricerca sociale di Sapienza Università di Roma. Nello stesso Ateneo insegna Politica e Società nel Caucaso meridionale e Storia dell’Azerbaigian- Ha curato con Giovanna Motta, Antonello Biagini e Gabriele Nataliza il volume Azerbaigian una lunga storia (Passigli editori, 2012).Il riesplodere del conflitto in Nagorno Karabakh esaurisce definitivamente l’inefficace categoria del conflitto congelato. In realtà, dal 1994, è un conflitto dimenticato dalla comunità internazionale. Il cosiddetto gruppo di Minsk promosso dall’OSCE e guidato da Francia, Stati Uniti e Russia non è riuscito a condurre Armenia e Azerbaigian a una vera pace. Scontri sporadici lungo la linea di contatto ci sono sempre stati nel corso degli ultimi anni. Con gli eventi di aprile sono peggiorati in intensità.Vi sono molti luoghi comuni e semplificazioni giornalistiche sul Nagorno Karabakh che andrebbero sfatate.Anzitutto occorre chiarire a quale Stato la regione appartenga. Che il Nagorno Karabakh sia una regione azerbaigiana non lo sostiene solo il governo di Baku ma le Nazioni Unite che sul conflitto hanno emanato nel 1993 quattro distinte risoluzioni (822, 853, 874 e 884). I testi ribadiscono l’integrità territoriale dell’Azerbaigian e chiedono il ritiro delle forze di occupazione dai territori azerbaigiani. Le risoluzioni restano inattuate. Paradossalmente è la stessa Armenia a corroborare la tesi dell’appartenenza della regione all’Azerbaigian. Non ha mai riconosciuto, infatti, l’indipendenza de iure del Nagorno Karabakh. Né tantomeno ne ha mai dichiarato l’annessione.Il secondo luogo comune da sfatare è che il Nagorno karabakh sia storicamente un’enclave armena (o peggio ancora in alcuni articoli definita “cristiana” come se la religione fosse un elemento di divisione politica e il cristianesimo non fosse tranquillamente praticato anche a Baku) inserita forzatamente da Stalin nel 1923 nella repubblica sovietica azerbaigiana. Le cose stanno diversamente. Il nome stesso del territorio (Nagorno sta per “alto” o “montano”in russo e Karabakh vuol dire “Giardino nero” in un misto di turco e persiano) descrive la dimensione multiculturale di un territorio tutt’altro che etnicamente omogeneo. Quando l’impero russo giunse in Caucaso nel XIX secolo conquistò una serie di khanati guidati da dinastie turcofone di etnia azera. Tra questi vi era il khanato del Karabakh. Fu un Khan azero İbrahimxəlil a firmare la sottomissione allo Zar Alessandro I. Pensare la storia caucasica come quella di tre distinti stati nazione etnicamente omogenei non ha senso. Alcuni esempi: al momento della conquista russa vi era anche un khanato di Erevan, oggi capitale della repubblica armena; nel XIX secolo c’erano molti più armeni a Tbilisi – capitale della Georgia – che nell’attuale territorio armeno. La stessa Erevan fu concessa, nel maggio del 1918, al governo della prima repubblica armena da parte di quello della prima repubblica azerbaigiana.Il conflitto non riguarda soltanto il Nagorno Karabakh. La guerra del 1992-1994 si è chiusa con l’occupazione, da parte armena, di ulteriori sette distretti azerbaigani. L’invasione di uno di questi distretti, Kelbajar, ha condotto alla chiusura dei confini tra Armenia e Turchia e ha congelato lo stabilirsi di relazioni diplomatiche tra i due Paesi. Dai sette distretti si consumò un esodo biblico di Internally Displaced People. Quasi 1 milione di azeri,. incalzati dalla guerra, fuggì in luoghi sicuri. Ancora oggi l’UNHCR ne conta circa 630.000, facendo dell’Azerbaigian lo Stato al mondo con la più alta percentuale di IDP. E’ questa una delle grandi vere tragedie umanitarie che questo conflitto continua a produrre.Ma gli armeni del Nagorno karabakh non hanno diritto al proprio Stato? Le risoluzioni ONU non contemplano anche il diritto all’autodeterminazione? Lo contemplano ma prima di sancire la separazione di un territorio da uno Stato occorre verificare che non si vi siano forme di autonomia e devoluzione dei poteri che possano disinnescare la separazione. Il separatismo dovrebbe essere una opzione estrema. Non è un caso che molti Stati lo proibiscano in Costituzione. Uno di questi è l’Italia. Proprio al nostro Paese guarda Baku, indicando l’Alto Adige/Sud Tirolo come modello di convivenza etnica e rispetto dell’integrità territoriale. Già nel 1919 quando le minoranze etniche erano sottoposte in Europa orientale a processi di nazionalizzazione forzata, il governo democratico e riformista di Baku sanciva un patto con gli armeni del Karabakh per l’autonomia locale e culturale; fatto che costituisce un precedente prezioso. In tutto questo permangono tensioni e conflitti difficili da gestire. I crimini di guerra, come il massacro di Khojaly (definita la Srebrenica del Caucaso e dove nel 1992 persero la vita centinaia di civili azeri massacrati dalle forze armene del Nagorno) sono rimasti impuniti. Ci sarebbe ancora molto da scrivere sul perche il conflitto appare oggi irrisolvibile. La situazione è molto tesa. Le forze armene hanno colpito 32 insediamenti e ucciso 6 civili, tra i quali 2 bambini, mentre 24 civili sono rimasti gravemente feriti. L’augurio deve andare, pertanto, a una veloce pacificazione, Evitando, quando si racconta la guerra, luoghi comuni e inesattezze.
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