“L’accordo sul Recovery Fund? Peggio della Troika”. Il 21 luglio 2020 i leader dell’Ue hanno concordato il piano per la ripresa e il quadro finanziario pluriennale per il periodo 2021-2027, l’accordo sul Recovery Fund, accolto da una buona parte dell’opinione pubblica come un grande successo dell’Unione europea e del premier Giuseppe Conte. C’è chi ha parlato senza remore di “accordo storico”. Non la vede in questo modo uno dei massimi esperti di eurozona, Wolfgang Münchau, editorialista del Financial Times e fondatore del think-tank Eurointelligence. “Il modo in cui funzionerà lo strumento del Recovery europeo è che i contributori netti giudicheranno la conformità da parte dei destinatari. Questo è peggio della Troika”, osserva l’esperto sul suo blog, riferendosi al controllo sulle politiche economiche dei singoli Paesi e al cosiddetto “freno d’emergenza” voluto dal premier olandese Mark Rutte.
Politicamente, sottolinea l’esperto, “è un grosso problema se un Paese dell’Ue si oppone all’erogazione dei fondi ad un altro Paese dell’Ue a causa del sospetto di una scorrettezza”. Pertanto, “in termini di percezione dell’interferenza, questo è peggio della Troika”, aggiunge. Naturalmente, a farne le spese può essere l’Italia: “A meno che non ci sia un grande cambiamento nella politica italiana, dubitiamo fortemente che l’Italia soddisferà le condizioni così come intese dai Paesi del Nord Europa”.
“Quello sul Recovery Fund non è un accordo storico”
Il giornalista si era già espresso nei giorni scorsi, smettendo la narrativa sull’accordo storico. “Facciamo parte di un gruppo molto piccolo di commentatori che non è riuscito a usare la parola “storico”. Non vogliamo minimizzare il significato del primo vero eurobond dell’Ue. Ma la decisione veramente storica non è ancora stata presa: un’espansione della base imponibile delle risorse proprie dell’Ue che le consentirebbe di agire da sola come emittente di debito sovrano. Al contrario, crediamo che l’accordo potrebbe averci allontanato da questo obiettivo”, ha sottolineato ha margine del vertice su Eurointelligence. “Il vertice – ha sottolineato – è stato il momento in cui l’Ue ha superato la sua resistenza a un futuro condiviso. E’ una traiettoria possibile ma non è l’unica. E non pensiamo nemmeno che sia la più probabile”.
“Impiego di fondi soggetto a continue verifiche”
Münchau non è l’unico ad aver criticato il Recovery Fund o comunque ad averne sottolineato le ombre. Anzi. Intervistato dal Sussidiario, nei giorni scorsi un altro esperto, il professor Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale alla Cattolica di Milano, si era espresso mettendo a nudo l’accordo sul Recovery Fund le sue conseguenze. Quei giorni di trattative, ha sottolineato Mangia, “hanno messo perfettamente in luce lo stato di dissoluzione in cui si trovano le istituzioni europee. La verità è che non sappiamo cosa è successo e non lo sapremo ancora per molto tempo. Leggeremo i giornali di 27 paesi diversi ed avremo 27 diverse vittorie”. Altro che pioggia di milioni: sottolinea il docente, “in realtà, siccome i Trattati sono quelli che sono – e gli articoli 123, 124 e 125 Tfue sono lì a dimostrarlo – non c’è nessunissimo trasferimento di denaro. Questi soldi verranno ricavati dal ricorso al mercato sulla base di un collaterale su cui si dovrà fare leva: e il collaterale per questo emissioni obbligazionarie sarà fornito pro quota dai singoli Stati”.