Giovedì 1 agosto le alture di Gorongosa, un enorme polmone verde nel cuore del Mozambico, sono state teatro di un avvenimento epocale per la storia e gli sviluppi futuri dell’ex colonia portoghese: la firma del trattato di pace tra il partito di governo che controlla ininterrottamente il Paese sin dal 1975, il Frente de Libertação de Moçambique (Frelimo), e l’organizzazione militante Resistência Nacional Moçambicana (Renamo), da sempre sua acerrima rivale. I due schieramenti, nella persona dei rispettivi leader Filipe Nyusi e Ossufo Momade, hanno siglato un patto storico, che prevede il disarmo della Renamo e l’inizio di un processo di normalizzazione che mancava sin dal 1992. Uno sviluppo importante per uno Stato che, al giorno d’oggi, si trova a dover affrontare non poche sfide, non ultima una ribellione islamista scoppiata nelle regioni più a nord.
“Mai stati amici”
Lo scontro tra Frelimo e Renamo risale agli albori dei due movimenti. Il primo, di ispirazione marxista-leninista, è stato fondato clandestinamente nel 1962, ed è stato tra i protagonisti della lunga guerra di indipendenza che, contemporaneamente alla Rivoluzione dei Garofani, riuscì a strappare il Mozambico al controllo di Lisbona. La Renamo è invece sorta come una “conseguenza” all’orientamento politico dei rivali: le sue radici sono riconducibili a una serie di gruppi armati anticomunisti finanziati dai servizi segreti sudafricani e rhodesiani, nell’ambito di una strategia che, negli anni Settanta, prevedeva di tenere lontano dai propri confini eventuali infiltrazioni di stampo “rosso”. L’opposizione tra le due parti sfocerà presto in una violenta guerra civile, durata dal 1977 al 1992, che provocherà circa un milione di morti e sarà interrotta soltanto il 4 ottobre di quell’anno dagli Accordi di Roma, negoziati dalla Comunità di Sant’Egidio con il supporto dell’Onu. Con la pace, arrivano anche i primi segnali di democrazia: il Frelimo non è più il solo partito del Paese, e i diritti fondamentali della popolazione iniziano ad essere garantiti dalla Costituzione. In cambio, la Renamo acconsente a trasformarsi in formazione politica, mentre alcuni dei suoi ex luogotenenti vengono inquadrati nelle forze armate mozambicane. Un idillio destinato a durare? Non proprio: a partire dal 2012 la Renamo, citando ripetute irregolarità nelle elezioni e accusando il Frelimo di fare qualsiasi cosa pur di mantenere saldamente il potere, riabbraccia le armi e dà il via a una ribellione che coinvolge le province centrali di Manica e Sofala, da sempre sue roccheforti all’interno del Paese.
La pace, e adesso?
L’insurrezione armata della Renamo, che le autorità mozambicane hanno più volte provato a bloccare senza successo, ha provocato la morte di più di 200 persone e la fuga di altre 15.000. Il processo di pace, iniziato con una serie di negoziati nel 2016 ma più volte rinviato a causa dell’intransigenza dei ribelli, è ripartito dopo il passaggio di poteri ai vertici dell’organizzazione, che ha visto lo storico leader Afonso Dhlakama, morto di infarto nel maggio del 2018, lasciare il passo a Ossufo Momade, già capo del Dipartimento di sicurezza del movimento. Momade, che dal giugno dello scorso anno sino a pochi giorni fa era ufficialmente in fuga dalle autorità, ha scelto di consegnare le armi dei propri uomini (alcuni dei quali verrano inseriti nei quadri dell’esercito come già occorso nel 1992), candidandosi ufficialmente alle elezioni presidenziali che avranno luogo il 15 ottobre prossimo. La firma del trattato, avvenuta nella base della Renamo (che si trova proprio sulle alture di Gorongosa) ha visto Momade e il presidente Filipe Nyusi -in carica dal 2015- rompere il protocollo e abbracciarsi calorosamente davanti agli alti quadri di entrambi i movimenti. Successivamente, alcuni uomini appartenenti alla Renamo hanno simbolicamente consegnato le proprie armi, dando inizio a un processo di disarmo totale -che lo stesso Dhlakama sembra aver auspicato prima della morte- in cambio dell’amnistia per i crimini commessi tra il 2013 e oggi. Con la pace Momade è diventato ufficialmente un uomo libero, le cui prime parole ai presenti sono state: Non commetteremo mai più gli errori del passato. (…) Siamo per un reintegro completo e civile all’interno della società e auspichiamo che la comunità internazionale ci aiuti a rendere questo sogno realtà.
Una minaccia che viene da Nord
Ma la pace non regna in tutto il Mozambico: anche se l’accordo tra Frelimo e Renamo risolve un annoso problema all’interno del Paese, ve ne è infatti un altro che opprime le regioni più settentrionali, ai confini con la Tanzania: si tratta del conflitto tra forze di sicurezza e i gruppi armati islamisti locali, il cui scopo è quello di dar vita a uno Stato indipendente sul territorio della provincia di Cabo Delgado. La rivolta è iniziata nel 2017 su impulso di alcuni seguaci del predicatore keniano Aboud Rogo, morto nel 2012. Il nome della loro organizzazione, Ansar al-Sunna (inizialmente Ahlu Sunnah Wa-Jamo), significa “Seguaci della tradizione profetica”, e si basa sull’idea che l’Islam praticato in Mozambico non sia altro che una forma edulcorata e occidentalizzata della vera fede. Per questo, invocano l’introduzione della Sharia, la legge islamica, e mantengono legami con altre formazioni islamiste africane come al-Shabaab, che sembra aver mandato nella zona alcuni suoi uomini per addestrare i guerriglieri locali. In realtà, molti analisti ritengono la rivolta una sorta di protesta ammantata di toni religiosi ma nata a causa dell’isolamento economico e sociale della regione, e nonostante lo Stato Islamico abbia rivendicato a suo nome l’attacco a Mitopy dello scorso giugno e definisca il Mozambico settentrionale parte della sua Provincia dell’Africa centrale, il governo mozambicano -che ha nel frattempo ottenuto l’appoggio logistico e militare di Russia, Tanzania e Uganda- mette in dubbio si possa parlare di un vero e proprio collegamento tra l’Isis e Ansar al-Sunna.
A prescindere dai futuri sviluppi, una cosa è certa: con la chiusura del fronte che le vedeva impegnate contro la Renamo, le forze armate di Maputo hanno ora la possibilità di concentrarsi sui ribelli islamisti di Ansar al-Sunna, a patto che la stabilità politica sia davvero tale e che la pace sia duratura. Una risposta chiara ai tanti dubbi e quesiti che circondano il cessate il fuoco dell’1 agosto la potremo però avere solo ad ottobre, con lo svolgersi delle elezioni presidenziali. Chi la spunterà?