Il Movimento 5 Stelle inizia a pensare seriamente alle prossime elezioni europee. Oggi, il vice premier Luigi Di Maio ha presentato le prime quattro forze politiche che hanno deciso di unirsi ai pentastellati per il voto di maggio. Si tratta di quattro partiti minoritari e che danno l’impressione di non essere particolarmente decisivi per la campagna elettorale del M5S. Sono il partito croato Zivi Zid, lo Kukiz’ 15 della Polonia, il Movimento ‘Liike Nyt’ della Finlandia e il movimento greco Akkel. Per ora, quindi, niente gilet gialli.
Nomi certamente non forti, e che di certo non sposteranno il peso politico di questo futuro blocco elettorale. Non infiammano le piazze né probabilmente rischiando di poter cambiare quest’Europa. Ed è proprio per questo motivo che il manifesto presentato da Di Maio, con toni fortemente critici nei confronti dell’establishment europeo e decisamente altisonanti, appare a grande rischio boomerang.
Il Manifesto per l’Europa
“Sta arrivando uno tsunami contro la Commissione europea e il Consiglio europeo, non contro un singolo, ma contro il modo in cui sono stati gestiti”. Così si è espresso il vice premier nella sua presentazione. E il manifesto programmatico di 10 punti, su cui gli iscritti del M5S saranno chiamati a esprimersi online è abbastanza netto, almeno sui 10 punti. “1) Un’Europa più vicina ai cittadini; 2) Verso un’Europa post-ideologica (basta con i falsi proclami, sì alle azioni concrete al servizio dei cittadini); 3) Un’Europa onesta con lotta alla corruzione e al crimine organizzato; 4) Un nuovo futuro per il progetto europeo; 5) Verso la riforma delle istituzioni europee; 6) Migliorare la qualità della vita dei cittadini europei, tutela della salute e dell’ambiente; 7) Solidarietà tra paesi europei e protezione e un nuovo modello europeo per affrontare i flussi migratori; 8) Un’Europa giusta con sviluppo dell’economia e riduzione del potere dei mercati finanziari; 9) Protezione delle eccellenze europee e sostegno all’agricoltura locale; 10) Credere nel nostro futuro con nuovi programmi e strumenti per i giovani europei”.
Un programma impegnativo e quasi visionario, che però fa i conti con una realtà decisamente molto diversa da quella che prospetta il Movimento 5 Stelle e che pensano di poter realizzare i loro alleati. E questo nasce soprattutto dal fatto che i partiti contattati dai pentastellati non hanno, almeno per il momento, alcuna forza per poter competere né coi partiti tradizionali, né con i partiti che hanno scelto una via fortemente critica nei confronti dell’attuale Unione europea. Siano essi i sovranisti o la sinistra radicale.
Di fatto, l’immagine più evidente di questo manifesto, ma soprattutto dei partiti che hanno scelto di unirsi alla causa del Movimento, è quella di un partito di governo – che rappresenta fra l’altro la prima forza politica nella maggioranza della terza economia europea – totalmente isolato. A tal punto che mentre il suo alleato, la Lega, può scegliere di costruire o l’alternativa al Partito popolare europeo o un blocco capace di compattare i sovranisti e di riunirli per allearsi col Ppe, l’M5S non riesce a garantirsi alcun contatto di alto livello nel quadro politico europeo.
La grande differenza con la Lega
E la questione è particolarmente importante se si riflette non solo sul futuro elettorale del Movimento Cinque Stelle, ma anche della diversa strategia internazionale dei due partiti di governo. La Lega ha costruito in questi mesi una fitta rete di contatti politici che vanno dall’America di Donald Trump ai diversi partiti sovranisti che cercano di prendere il controllo dell’Unione europea nel prossimo futuro.
In questo senso, scelte molto nette e radicali da parte della Lega hanno fatto sì che il partito di Matteo Salvini costruisse una serie di partnership capaci di ricostruire un modello di Europa. Anche per fare da ponte con gli alleati del centrodestra. questo si riverbera anche nelle capacità diplomatiche dei rappresenti della Lega al’interno del governo e in un eventuale futuro esecutivo di colore diverso da quello attuale.
Il partito di Di Maio, invece, ha optato per una strategia diversa e attualmente difficile da gestire. Incentrandosi su una sfida aperta e estremamente dura nei confronti di tutti i rappresentanti dell’establishment europeo, il partito ha perso di vista le possibilità di allearsi con partiti di peso che possano in qualche modo giustificare una battaglia continua e senza indugi nei confronti dell’Europa.
In questo senso, la differenza fra Salvini e Di Maio è soprattutto data dal fatto che il leader della Lega ha saputo imporsi come referente di diversi governi (in particolare di Visegrad) e di movimenti in grado di poter ergersi a partiti di maggioranza. E in questo ha fatto gioco la cosiddetta internazionale sovranista. Mentre il ministro pentastellato, avendo un partito non in grado di esprimere una opinione netta su molte tematiche, è costretto a forgiare un’alleanza debole in chiave elettorale e di fatto basata su un populismo che non attira.