Il 15 febbraio 1989, il generale comandante della 40^ Armata sovietica Boris Vsevolodovich Gromov attraversa il ponte dell’Amicizia afghano-uzbeko, confine in metallo e asfalto che separa la Repubblica socialista uzbeka dal territorio teatro della prima e ultima sconfitta militare russa del secondo dopo guerra (1979-1989).La conflittualità fra Mosca e Kabul sembra, ormai, appartenere al passato: l’Unione sovietica, infatti, arriverà al suo tramonto nel 1991, pochi anni più tardi. Tuttavia, la scomparsa dell’Urss ha profonde ripercussioni sugli equilibri sia delle ex repubbliche del sud dell’Unione, sia sullo stesso Afghanistan.I problemi più gravi, di instabilità ed insicurezza politica, scoppiano nel 1992. Mentre la RDA (la filo russa Repubblica Democratica d’Afghanistan) cade con la conquista mujaheddeen di Kabul, il vicino Tagikistan scivola nella guerra civile: da un lato il Presidente del Consiglio Supremo Emomali Rahmon, dall’altro guerriglieri tagiki e afghani del fronte islamico di Sayid Nuri.Il 15 luglio 1993, il villaggio di Kubil è raso al suolo dai miliziani musulmani guidati da Kori Khamidullo, capo di una delle fazioni anti Rahmon: a farne le spese sono venticinque russi della 201^ Divisione motorizzata. La risposta moscovita non si fa attendere: il Ministro della Difesa Pavel Graciov autorizza la divisione a rispondere con ogni mezzo, al fine di contenere i ribelli.Ma non solo. È proprio in questo periodo che l’attenzione russa si riaccende sull’Asia centrale. Con lo scopo di tenere sotto controllo le aree lungo il confine afghano, nascono organizzazioni come il Collective Security Treaty Organization (CSTO) e il Commonwealth of Independent States Peacekeeping Force (CIS/PKF – Kazakhstan, Kyrgyzstan, Uzbekistan).Nel 1996, l’esperienza della Repubblica Islamica d’Afghanistan di Burhanuddin Rabbani, nata nel ’92, giunge al capolinea: i talebani, forti della frammentazione politica interna, conquistano Kabul e fondano l’Emirato Islamico dell’Afghanistan. Mosca dapprima risponde con il rifornimento di armi ai gruppi di oppositori (Alleanza del Nord) che operano nelle regioni montane settentrionali, poi con un rafforzamento della presenza militare in Tagikistan. Agli inizi degli Anni Duemila, la 201^ Divisione raggiunge un organico di venticinque mila uomini dislocati lungo una linea di confine di 1400 km.L’attenzione del Cremlino alla politica talebana aumenta con la nascita del gruppo islamista IMU (Islamic Movement Uzbekistan), guidato da Juma Namangami, un ex paracadutista dell’Armata rossa, già combattente musulmano nella guerra tagika. L’IMU opera nel nord dell’Afghanistan contro le milizie dell’Alleanza del Nord, protetto e appoggiato dai talebani. Le operazioni del gruppo proseguono anche dopo la morte di Namangami: nel 2007, infatti, l’Islamic Movement partecipa alle operazioni contro l’ISAF; mentre nel 2010 è responsabile di attacchi nella provincia a maggioranza uzbeka di Takhar.Una spina nel fianco per il Cremlino che, oltre alla 201^ Divisione, mantiene attive le basi militari di Dushanbe, Kulob e Qurghonteppa.Ma non basta. Vent’anni di attività di controllo e di monitoraggio della realtà afghana hanno insegnato ai russi la precarietà del tessuto sociale e politico della nazione centro asiatica. Nel 2012, di fronte alla prospettiva del ritiro delle foze Nato, il titolare agli Esteri Sergej Lavrov aveva ricordato l’importanza del continuare a vigilare sulla ricostruzione del paese. Un discorso che lasciava trapelare che Mosca avrebbe continuato a giocare un ruolo di primo piano per la stabilità dell’area.Dunque la Russia, sia per ragioni di sicurezza sia per prestigio internazionale, non intende abbandonare Kabul. E, forse, è proprio in quest’ottica che il Cremlino ha sottoscritto il trattato di cooperazione russo-turkmeno (gennaio 2016) per il contenimento e il contrasto delle attività terroristiche e di contrabbando di droga sul confine afghano.





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