Dopo quasi 14 anni al potere, Evo Morales, lascia la presidenza della Bolivia. La rinuncia arriva al termine di una lunga e convulsa giornata, che si era aperta con la sua dichiarazione di voler convocare nuove elezioni nazionali.
A fianco del fedele braccio destro Álvaro García Linera, la coppia che ha trasformato radicalmente il paese ha annunciato le proprie dimissioni nel tardo pomeriggio in un messaggio televisivo.
“Rinuncio in modo che Mesa e Camacho non continuino a maltrattare i familiari dei nostri compagni, non continuino ad attaccare i ministri e i deputati, in modo che smettano di maltrattare gli umili,” ha dichiarato Morales, attaccando sia l’opposizione politica che i movimenti civici che hanno organizzato le proteste più dure. “È un golpe di stato civile e poliziesco.”
La scelta è avvenuta poche ora dopo che il capo dell’esercito, Williams Kaliman, aveva consigliato pubblicamente a Morales di fare un passo indietro. “Dopo aver analizzato la situazione conflittuale interna del paese, suggeriamo al presidente dello Stato che rinunci all’incarico, permettendo la pacificazione e il mantenimento della stabilità per il bene della nostra Bolivia,” ha detto Kaliman.
Ma a far vacillare Morales è stato probabilmente anche il mancato appoggio della sua base storica, il sindacato della Centrale Operaia Boliviana. Secondo il giornale boliviano La Razón, Juan Carlos Huarachi, suo segretario esecutivo, aveva anche lui proposto all’ex presidente di considerare la possibilità di lasciare il mandato.
L’annuncio di nuove elezioni
Solo questa mattina, Morales aveva annunciato che avrebbe convocato nuove elezioni nazionali.
La dichiarazione era arrivata poco dopo che l’Organizzazione degli Stati Americani (OEA) aveva denunciato “irregolarità” nell’ultima tornata elettorale, nel mezzo della più grave crisi politica dai tempi della cosiddetta “Guerra del gas”.
Le proteste sono esplose proprio a causa del sospetto di brogli elettorali, che avrebbero garantito a Morales la rielezione a presidente lo scorso 20 ottobre.
Nel suo report, l’OEA ha scartato la possibilità che potesse uscire vincitore con un margine tale da evitare di tornare alle urne per un secondo turno.
“Tenendo in conto le proiezioni statistiche, è possibile che il candidato Morales sia arrivato al primo posto e il candidato Mesa al secondo. Ciononostante, risulta impossibile statisticamente che Morales abbia ottenuto il 10% di differenza, richiesto per evitare una seconda tornata,” si legge nel report.
L’organizzazione ha inoltre riscontrato gravi errori e mancanze nel sistema informatico per il conto finale dei voti.
L’opposizione voleva Evo fuori da subito
L’annuncio di Morales arrivava dopo giorni di dure proteste, che avevano visto anche ammutinamenti tra le forze dell’ordine, che si sono rifiutate di intervenire contro i manifestanti, e quattro morti negli scontri tra oppositori e sostenitori del Movimento al Socialismo (MAS), il partito di Morales.
Incendi dolosi erano stati inoltre appiccati alle abitazioni di Esther Morales, sorella del presidente, e dei governatori di Oruro e Chiquisaca. Gruppi di manifestanti si erano spinti fino a occupare le sedi di Bolivia TV e di Radio Patria Nueva.
“Chiedo a tutti ora di abbassare la tensioni, abbiamo tutti il dovere di pacificare Bolivia,” aveva insistito Morales durante la conferenza stampa.
I principali leader dell’opposizione avevano però preteso da subito le sue dimissioni.
Per il senatore oppositore e candidato del partito “Bolivia disse no (21F)” Oscar Ortiz, Morales continuava infatti a essere un candidato illegittimo da quando il paese aveva votato contro la sua ricandidatura nel referendum tenutosi il 21 febbraio 2016.
Dopo l’annuncio, Carlos Mesa, il principale contendente alle elezioni, aveva sottolineato come “in quanto responsabili della frode e del conflitto sociale che ha causato vari morti e feriti, Evo Morales e Alvaro Garcia Linera, sono assolutamente inadeguati a presiedere questo nuovo arco elettorale.”
Mesa aveva poi richiesto la convocazione dell’Assemblea Legislativa Plurinazionale (il parlamento boliviano) per cercare un nuovo accordo che permetta l’elezione del nuovo organo elettorale.
I cosiddetti comitati civici, che hanno finora capitanato le proteste più dure sotto la guida leader di destra Luis Fernando Camacho, si erano spinti anche oltre, chiedendo la rinuncia di tutti i deputati del MAS, delle autorità del Tribunale Supremo di Giustizia e del Tribunale Costituzionale, per poi creare una Giunta di Governo Transitorio che designi il nuovo Organo Elettorale e porti a elezioni nel giro di 60 giorni.
Morales si era appellato al suo ruolo istituzionale. “Il mio mandato termina il 21 di gennaio del prossimo anno. Chi insinua (il contrario) sta dalla parte del colpo di stato,” aveva affermato alla radio Panamericana.
Su una sua eventuale ricandidatura, invece, il leader cocalero aveva glissato: “il tema delle candidature è secondario, prima dobbiamo riappacificarci”, riporta il giornale Página Siete.
Nell’annuncio di nuove elezioni, Morales ha anche dichiarato che i membri del Tribunale Supremo Elettorale (TSE) verranno sostituiti per intero, e che spetterà al parlamento boliviano, d’accordo con tutte le forze politiche, stabilire con quale meccanismo verranno designati i nuovi membri.
Massimo organo per l’amministrazione delle contese elettorali, il TSE è stato in questi anni al centro della disputa politica del paese.
L’insediamento dei suoi membri è stato accompagnato dalle polemiche fin dalla loro designazione a luglio 2015, dato che maggioranza e opposizione non riuscirono ad arrivare a delle nomine condivise, secondo quanto riporta La Razón.
Nel 2018, subito dopo aver abilitato Morales a partecipare alle nuove elezioni, la consigliera Dunia Sandoval raccontò poi di ricevuto pressioni da parte sia del potere legislativo che del potere esecutivo per votare a favore (ma lei comunque si oppose).
Il giorno dopo le elezioni, infine, anche Antonio Costas, vicepresidente e membro indipendente del TSE, presentò le sue dimissioni in disaccordo con la sospensione dei risultati preliminari, secondo quanto riporta Infobae. Il conteggio dei voti, che indicava come probabile una secondo turno elettorale, si bloccò infatti per quasi un giorno intero, generando le primi voci di brogli.
E proprio questa domenica è arrivata anche la notizia che il Fiscale Generale dello Stato ha istruito un processo contro tutti i membri del TSE per delitti ordinari, elettorali e legati alla corruzione.
È dunque chiaro che parte della futura contesa boliviana ruoterà proprio attorno alla definizione e alla scelta dei nuovi membri del TSE.