In Montenegro il primo turno delle presidenziali di domenica 19 marzo ha promosso un ribaltamento rispetto alle aspettative iniziali: Andrija Mandic, leader del Fronte Democratico e politico ritenuto estremamente suggestionato dalle influenze di Belgrado e soprattutto Mosca, non sarà lo sfidante del capo dello Stato uscente Milo Dukanovic.
Il travaglio dei filorussi
Con solo il 19% dei voti, Mandic si è infatti classificato terzo, venendo sopravanzato da Dukanovic, che guida il Partito dei Socialisti Democratici (Dps), evoluzione populista e moderata della Lega dei Comunisti Jugoslavi del Montenegro trasformatasi in formazione pigliatutto e fautrice del nazionalismo montenegrino, primo col 35%. In mezzo tra i due lo sfidante che contenderà la leadership di Podgorica nel ballottaggio di domenica 2 aprile: Jakov Milatovic, leader di Europa Adesso!, formazione di centrodestra nata dalle battaglie contro la corruzione nel Paese e fautrice dell’immediato ingresso nell’Unione Europea del Montenegro.
Nella notte, però, a sorpresa Mandic ha annunciato che al ballottaggio sosterrà proprio il leader di centrodestra rivale di Dukanovic, il quale dalla separazione dalla Serbia nel 2006 è stato premier per due mandati (2008-2010 e 2012-2016) ed è presidente della Repubblica dal 2018. Dukanovic, promotore di privatizzazioni finalizzate ad attirare capitali stranieri nel settore del turismo e autore della svolta che ha portato nella Nato Podgorica, unisce una retorica politica da uomo forte a uno stile di governo personalista che si fonda sulla creazione di narrazioni nazionali alternative a quella dello storico legame con la vicina Serbia. Troppo per Mandic e i suoi, ma anche per gli europeisti di Milatovic, che spingono su posizioni conservatrici sul piano sociale ma sono decisamente meno aperti al tema del nazionalismo.
Mandic, in quest’ottica, ha promosso un’agenda di aperta ostilità a Dukanovic che si è rafforzata dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Un antico proverbio montenegrino dice che “noi e i russi siamo duecento milioni” e su questa base si costruisce un’ideologia panslava che è ostile alle tirate nazionaliste di Dukanovic. Paradossalmente, in campagna elettorale questo ha fatto il gioco di Milatovic. Ma ora due politici assai diversi possono unire le forze in nome della sconfitta dell’uomo forte del Montenegro.
Milatovic, del resto, è un europeista convinto che però ha saputo dimostrare di saper convivere in un contesto politico di contrasto all’agenda Dukanovic e soprattutto ha fatto parte del primo esecutivo anti-Dps guidato da un serbo nella storia del Montenegro. Stiamo parlando dell’esecutivo di Zdravko Krivokapic in carica dal 2020 al 2022 e in cui Milatovic, ex alto dirigente della Banca Europea di Ricostruzione e Sviluppo (Bers), ha servito come Ministro dell’Economia e delle Finanze.
La battaglia della corruzione
Il blocco anti-Dukanovic, che sommato sfiora il 50% dei consensi e potrebbe trasformarsi nell’ago della bilancia al ballottaggio, è stato plasmato dall’insoddisfazione di fette della società civile del Montenegro e dei suoi 620 mila abitanti per il clima venutosi a creare nel Paese principalmente sulla scia dell’esplosione della corruzone
Già nel 2020 la rivista italiana di geopolitica Eurasia dedicava un’ampia analisi a questo problema ricordando che “l’oligarca Dusko Knezevic, rifugiatosi a Londra, ha dichiarato di aver finanziato il Dps per venticinque anni. Perseguito dalla giustizia montenegrina” Knezevic, presidente dell’Atlas Group Corporation (Agc), è stato accusato di “aver riciclato almeno 500 milioni di euro di denaro sporco” e dalle sue uscite pubbliche nel 2019 è diventato un portavoce delle battaglie anti-corruzione.
Il sistema di potere costruito da Dukanovic a ogni livello, dalla politica all’economia degli enti pubblici e dei settori privatizzati, è accusato di essere un creatore sistemico di corruzione e anche gli sbandierati progressi decantati dalla presidenza non stanno scaldando gli entusiasmi della popolazione. “Nel nostro paese continuano a vigere doppi standard, siamo ben lontani da una società guidata da decisori politici responsabili”, ha sottolineato Mira Popović Trstenjak, coordinatrice del programma “Democratizzazione ed europeizzazione” presso il Centro per l’educazione civica di Podgorica in un’intervista al quotidiano Vijesti ripresa in Italia dall’Osservatorio Balcani-Caucaso.
Su questo fronte il leader filoserbo e l’economista europeista e anti-corruzione hanno sicuramente un terreno comune di dialogo. Nel grande gioco della politica montenegrina che vede un ex comunista diventato nazionalista e privatizzatore, leader indiscusso del Paese per anni, sfidato da un conservatore anti-nazionalista e da un leader populista alleato di governi nazionalisti (Serbia e Russia) ma che rifiuta questo gioco per il suo Paese sono le condizioni concrete della vita quotidiana a fare la differenza.

La partita della Chiesa ortodossa
Dukanovic deve temere anche un’altra saldatura politica a tutto campo che può toglierli il terreno sotto i piedi. Mandic e Milatovic, nella loro grande divergenza, hanno però avuto in comune le critiche al presidente per le sue mosse di riassetto della Chiesa ortodossa del Montenegro in senso nazionalista.
Dal 2019 Dukanovic ha sviluppato una politica di distacco dei beni appartenenti alla Chiesa ortodossa serba, nella sua filiale montenegrina, per creare una Chiesa autocefala, in proiezione simile a quella promossa in Ucraina da Petro Poroshenko e Volodymyr Zelensky con l’obiettivo di usare l’ortodossia per plasmare un’identità nazionale alternativa a quella legata alla Russia. Nella Chiesa ortodossa serba il Montenegro è rappresentato dall’eparchia del Montenegro e del Litorale Adriatico, che amministra ecclesiasticamente anche la Repubblica Srpska di Bosnia-Erzegovina.
Joanikije II, primate del Montenegro, guida un’istituzione che esiste dal 1219 e ha il suo cuore pulsante nell’Abbazia di Cettinge che risale al 1484. Ha guidato un risveglio politico, oltre che religioso, fondato sulla necessità di considerare in chiave ecumenica e non conflittuale il ruolo del Montenegro nel mondo ortodosso. I candidati anti Dukanovic in quest’ottica hanno goduto del sostegno politico degli alti prelati ortodossi in un’ottica di totale alienazione delle simpatie del clero per il potere centrale di Podgorica. A cui non si perdona, innanzitutto, il retaggio comunista della sua ascendenza.
In quest’ottica dunque, al ballottaggio le convergenze parallele che possono schiantare Dukanovic non sono poche. Ma quale che sia il vincitore, il piccolo Paese adriatico a due passi dall’Italia si troverà in una fase di acuta volatilità e divisione politica. Un tassello ulteriore della crisi di sistema che attraversa i Balcani. Intenti a produrre più storia di quanta ne possano digerire. Oggi come ieri.