Tra i vari incontri di Enzo Moavero Milanesi a Washington, ce n’è uno che è particolarmente interessante: quello con Nancy Pelosi.

Il ministro degli Esteri italiano ha visto la nuova speaker della Camera in un incontro che sembra voler affermare una strana alleanza fra alcuni apparati dell’Italia e gli avversari di Donald Trump negli Stati Uniti. Il governo italiano è uno dei governi più vicini all’amministrazione americana in Europa. Ma non tutti alla Farnesina e nella diplomazia italiana concordano con questa linea.





E Nancy Pelosi, origine italiana e mina vagante della campagna di Trump verso il 2020, è un elemento fondamentale. Così come i suoi legami con l’ambasciata italiana negli Stati Uniti. La dimostrazione di questo legame è stata la sera prima dell’elezione (annunciata) come speaker della Camera, quando Pelosi è stata invitata nella sede dell’ambasciata italiana dove ospiti d’onore erano Bill e Hillary Clinton e John Kerry. Proprio alla vigilia dell’incontro con Moavero.

L’ambasciata italiana è stata da subito oggetto di attenzioni da parte della nuova amministrazione americana marcata Trump. L’ambasciatore Armando Varricchio non è uomo apprezzato dall’entourage di Trump. E il motivo è da ricercare nella sua carriera e nella sua nomina. Consigliere diplomatico di Giorgio Napolitano e di Enrico Letta, è stato nominato ambasciatore a Washington nel 2016, spinto da Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. In quel periodo, il governo italiano aveva fatto un endorsement senza precedenti nei confronti della candidata democratica Hillary Clinton.

E quel fatto pesa ancora come un macigno sulle credenziali di Varricchio nel circuito vicino a Trump. Tanto è vero che, come riportava Dagospia, nel 2017 “pare che l’ambasciatore italiano a Washington, Armando Varricchio, abbia provato a incontrare Anthony Scaramucci, uno dei principali consiglieri di Donald Trump, ma che lo staff del presidente eletto preferisca tenere i rapporti con Giovanni Castellaneta, che occupò Villa Firenze negli anni di Berlusconi e Bush junior”. Passati due anni, la situazione ora è cambiata, soprattutto perché a Roma c’è un governo decisamente vicino alle posizioni di Washington. Ma un conto è il governo, un altro è lo Stato profondo: e per la politica estera, la partita è estremamente complessa.

Anche la cena all’ambasciata italiana con ospiti i Clinton, Kerry e Pelosi non è piaciuta a molti segmenti della Farnesina. Fonti interne agli Esteri parlano a Occhi della Guerra di una cena “democratica” più che “italo-americana”, come a voler segnare la distanza della sede diplomatica italiana rispetto all’esecutivo. E il prossimo incontro fra Moavero e la Pelosi rientra in questo meccanismo di rapporti paralleli fra Italia e Stati Uniti. Come scritto anche da La Stampa, lo stesso meeting Moavero-Pelosi “dimostra l’attenzione di Roma per la sponda democratica, che dopo la vittoria nelle elezioni midterm sfiderà Trump, come sta già avvenendo in queste ore con lo ‘shutdown’ per il muro”.

Questo doppio binario interno alla Farnesina, al governo e a tutta la diplomazia italiana pone una serie di interrogativi sulla posizione dell’esecutivo giallo-verde. E vista la sfida interna per la politica estera, spiegata su questa testata, il pericolo è che vi sia una vera e propria guerra di apparati che si ripercuote su quale sponda trovare negli Stati Uniti. La maggioranza è favorevole all’asse con Trump, manifestata sia in sede Lega che in quota Movimento 5 Stelle. Ma una parte rilevante dell’establishment non sembra essere orientata nella stessa direzione, ed è più affine non solo alla linea dell’Unione europea, ma anche a quella democratica americana.

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