“Questa cosa che noi non avremmo classe dirigente non la capisco. Ma qualcuno ha letto i curricula dei parlamentari di Fdi?”. L’11 giugno Giorgia Meloni non le ha mandate a dire intervenendo alla trasmissione di La7 “L’aria che tira” condotta da Myrta Merlino e rilanciando così la sua convinta risposta al dibattito aperto da Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera, con un editoriale in cui l’analista e politologo intendeva sottolineare quelli che a suo avviso sarebbero i limiti di Fratelli d’Italia nella corsa a posizioni apicali nella politica italiana. Legati principalmente alla presenza di un ceto politico inadatto alle posizioni di governo tra le sue fila.
Già nelle scorse giornate avevamo sottolineato su queste colonne come il tema della classe dirigente sia trasversale a tutti i partiti italiani e che Fdi sia impegnato ad affrontare una sfida comune per comprendere il ruolo futuro che la politica può e deve assumere nel disegnare le rotte dell’interesse nazionale e del sistema Paese. Discorso sempre più pressante dopo le svolte imposte dal governo Draghi alla costituzione materiale. D’altro canto, lunghi anni all’opposizione e una graduale strategia di radicamento nelle istituzioni locali e nazionali non sarebbero stati sopportabili altrettanto pazientemente, trasformandosi nell’attesa per un possibile sbarco al governo, se Fdi non avesse avuto tra i suoi ranghi un personale politico in grado di darsi un equilibrio e una prospettiva.
“Ciascuno dei miei”, ha notato l’onorevole romana, “ha fatto la trafila di militanza, e sono preparatissimi. Io preferisco chi ha iniziato a fare politica da prima di entrare in Parlamento, perché vuol dire che la facevano per passione”. Questo sottolinea un fondamentale concetto che in Fdi è chiaro e nella politica italiana attuale tutt’altro che scontato: la formazione leader della destra sociale italiana rivendica una continuità di pensiero e di inquadramento storico che è arrivata a trasformare in forza capace di candidarsi a compiti di amministrazione e in un partito attrezzato per la dialettica del XXI secolo una continuità politica che affonda le sue radici nel Movimento Sociale Italiano e in Alleanza Nazionale. Cercando di trovare una terza via tra il “reducismo”, essendo la leadership di Fdi ben conscia che proprio nell’anche remota spinta all’accostamento con un presunto background “fascista” passa un rischio fondamentale per la sua legittimazione a forma di governo, e le capriole politico-ideologiche di finiana memoria, culminate in un acritico abbraccio dei dogmi liberisti della globalizzazione.
Tale “terza via” è stata parallela a quella costruita, in chiave odierna, tra la tradizionale destra liberale e quella sovranista, tra i principi della destra sociale critica della globalizzazione, degli eccessi del neoliberismo e dell’atomizzazione imposta dalla società di mercato e i valori conservatori tradizionali. Operazione complessa, guidata da un gruppo eterogeneo al suo interno e che pur nella diversità di vedute ha potuto riconoscersi in un percorso comune.
Del resto la stessa esperienza politica della leader di Fdi non comincia con la nascita del partito da una scissione del Popolo della Libertà nel 2012. Giorgia Meloni, allora 35enne, aveva alle spalle vent’anni di militanza, iniziati nel 1992, a 15 anni, aderendo al Fronte della Gioventù, proseguita con la conquista del ruolo di presidente dei giovani di Alleanza Nazionale nel 2004 e con la prima elezione alla Camera nel 2006. Nella sua prima legislatura alla Camera, contraddistinta dal governo Prodi II a cui il centrodestra si opponeva, fu vicepresidente dell’emiciclo di Montecitorio presieduto da Fausto Bertinotti e dopo la vittoria della coalizione berlusconiana del 2008 fu, nel quarto governo del Cavaliere, ministro per la Gioventù fino al 2011.
La Meloni è figlia di quella “generazione Atreju” formatasi politicamente nella destra divisa e resa orfana di molti dei suoi ideali nell’era Fini ha trovato nella riscoperta del suo posizionamento originale una fonte di rilancio. Francesco Acquaroli nel settembre scorso ha espugnato un fortino che la sinistra presidiava da venticinque anni, le Marche, alle elezioni regionali coronando una lunga carriera di militanza e diventando il primo presidente di Regione figlio di questa “nidiata”. Di cui fa parte anche Carlo Fidanza, politico di un anno più vecchio della Meloni, che lo sconfisse nel 2004 per la corsa alla carica di presidente di Azione Giovani ma che dopo la nascita di Fdi ha fortemente puntato su di lui per l’operazione di accreditamento internazionale del partito, di cui Fidanza è eurodeputato e referente per la politica estera.
Va inoltre sottolineato che anche gli altri due co-fondatori di Fdi con cui la Meloni nel 2012 annunciò la nascita del partito facevano parte di tale esecutivo. Ignazio La Russa nel governo Berlusconi IV fu infatti ministro della Difesa e ebbe come sottosegretario Guido Crosetto. Provenienti da esperienze diverse (dal Msi La Russa, deputato dal 1992 al 2018 prima di diventare Senatore, dalla Democrazia Cristiana e da Forza Italia Crosetto) i due hanno rappresentato i primi politici italiani di peso a consolidare l’esperienza meloniana di discontinuità. La Russa è da sempre una figura di peso nella destra italiana, mentre Crosetto ha rappresentato un ponte tra Fdi e gli ambienti imprenditoriali, le categorie produttive, l’elettorato moderato avendo alle spalle diversi decenni alla guida di imprese e consigli di amministrazione e ricoprendo oggi la carica di presidente della strategica Orizzonte Sistemi Navali.
Anche Adolfo Urso, neopresidente del Copasir, incarna un’esperienza di lungo corso che dal Msi al Pdl lo ha portato poi ad aderire a Fdi nel 2015 e porta nel suo bagaglio personale un curriculum fatto di militanza politica, giornalismo, attività imprenditoriale e incarichi istituzionali (viceministro con delega al Commercio Estero nei governi Berlusconi II, III, IV) ora culminato nella direzione del comitato che controlla e coordina l’intelligence.
E non abbiamo parlato che delle figure di prima linea che animano una formazione oggi pronta a prendere le redini di un futuro esecutivo di centro-destra organico. Fdi ha ancora molto percorso da compiere in termini di selezione degli uomini di punta e delle figure in grado di padroneggiare al meglio i dossier più caldi. Ma l’eterogeneità delle sue personalità di vertice e il loro consolidato curriculum rendono sicuramente fuorviante il paragone di Galli della Loggia che li ha comparati al Movimento Cinque Stelle del 2013. La partita per strutturarsi come forza di governo sarà ancora lunga: ma le basi di partenza su cui Fdi può contare non sono fragili o improvvisate.