La recente rottura del fronte europeo nella votazione sulla riforma del Trattato di Dublino ha visto l’Italia rappresentata dal nuovo governo a trazione leghista e pentastellata schierarsi a fianco del gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia), assieme a Germania, Austria, Spagna e Paesi baltici, nell’opposizione alla proposta elaborata dalla presidenza comunitaria bulgara.
L’avvento dell’esecutivo guidato da Giuseppe Conte e rappresentato al ministero degli Interni dal leader leghista Matteo Salvini ha portato numerosi commentatori a ipotizzare un possibile asse tra Roma e i Paesi del gruppo Visegrad, tra i più critici sulle tematiche della gestione dei migranti e dell’accoglienza, in funzione di contestazione al dogma dominante in campo comunitario.
Tale concezione si basa, in particolare, su una possibile convergenza di vedute tra il governo italiano e l’esecutivo ungherese guidato da Viktor Orban, il quale nelle ultime settimane ha voluto assumere il ruolo di tribuno capofila dei sovranisti del continente, come dimostrato dall’esito del recente voto sloveno.
In ogni caso, è bene sottolineare come le agende politiche dell’Italia e del tutt’altro che coeso quartetto centro-orientale divergano, sul tema dell’accoglienza e dei rifugiati, in diversi punti.
La diversità tra le priorità italiane e quelle di Visegrad
Partiamo da un presupposto fondamentale: è un bene che una coalizione tanto eterogenea di Stati abbia respinto una riforma farraginosa delle regole dell’immigrazione che prevedeva un aumento nel grado di responsabilità dei Paesi di arrivo dei migranti (obbligati a gestire un richiedente asilo per almeno otto anni), salvo alleggerire di molto la solidarietà intercomunitaria (gli altri Paesi si dovrebbero prendere in carico i migranti solo quando altrove si è raggiunto un “sovraccarico” del 180%, pagando una penale di 30mila euro per ogni richiedente asilo respinto).
In ogni caso, è bene considerare come l’Italia, a causa del combinato disposto tra la sua posizione geografica cruciale, le regole attualmente in vigore e l’impatto di misure a geometria variabile come il Trattato di Schengen, risulti fortemente penalizzata dalla totale mancanza di appoggio comunitario, condiviso con altri Paesi di primo sbarco come la Grecia.
In questo contesto, le priorità italiane dovrebbero rivolgersi, innanzitutto, al rilancio della proiezione mediterranea dell’Europa, troppo spesso dimenticata a scapito dell’asse nordico-renano gravitante sulla Germania e completamente ignorato dalla “Terza Europa” di Visegrad, che vede l’appartenenza all’Unione come una condizione ancillare alla prioritaria adesione all’Alleanza Atlantica e a un legame con Washington ritenuto vitale soprattutto dalla Polonia.
La crisi dei migranti tra geopolitica e identità
Risulta difficile comprendere come un’asse Italia-Visegrad centrato sui rapporti tra Roma e Budapest possa realisticamente cambiare le regole europee al di là della comunanza di vedute su riforme oggettivamente miopi. La quesitone principale è legata alla natura emotivamente forte del tema delle migrazioni, fenomeno epocale che si inserisce in un contesto più ampio di natura geopolitica che ha le sue radici nell’Africa profonda e nella faglia mediterranea, segnato dalla completa destabilizzazione dell’estero vicino del nostro Paese.
I Paesi di Visegrad non hanno mai avuto la necessità di fronteggiare una questione migratoria tanto sviluppata quanto quella fronteggiata, molto spesso in solitaria dall’Italia: per Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia i migranti hanno molto spesso rappresentato il simbolo lontano della minaccia a un’identità in fase di ricomposizione dopo la caduta dei regimi comunisti, il cui sviluppo non è stato mai assecondato da un’Unione troppo concentrata sugli aspetti burocratico-tecnocratici per capire l’ampiezza delle questioni aperte dalla fine della Guerra Fredda nell’Europa centro-orientale.
La difesa delle frontiere comunitarie può unire Italia e Visegrad?
Risulta dunque fondamentale analizzare due linee di tendenza degli interessi nazionali prioritari: per l’Italia risulta necessario amplificare l’azione diplomatica, economica e politica nei Paesi di origine e partenza dei migranti, mentre per Visegrad la prima volontà è evitare che il tema della solidarietà nella gestione dei profughi sia rinsaldato da un’ampia maggioranza comunitaria.
Difficile che tra Italia e Visegrad possa crearsi una reale sintonia in sede di definizione delle regole se non sarà presa in considerazione il tema della gestione delle frontiere esterne dell’Unione. Su questo tema, un sostegno importante potrebbe venire dal governo austriaco di Sebastian Kurz. Questi ha annunciato la volontà di studiare una soluzione che permetta ai migranti trovino protezione fuori dall’Europa, echeggiato dal Ministro dell’Interno di Vienna Herbert Kicl, del partito di destra Fpo, che ha parlato all’Agi di un’imminente “rivoluzione copernicana” basata sul concetto di una “solidarietà deve essere rinnovata nel settore della protezione delle frontiere”.
Come esaminato, un asse tra Italia e Visegrad difficilmente si potrà creare sulla base degli elementi attuali del contesto comunitario: tuttavia, Roma e i Paesi centro-orientali, assieme a Vienna, concordano nella necessità di un cambio di paradigma. E tale paradigma unisce la necessità di garantire la priorità del “diritto a non emigrare” dei potenziali migranti con la consapevole accettazione dell’immigrazione come una sfida comune la cui risposta più efficace risulta essere la prevenzione diretta delle cause che alimentano il flusso di disperati verso il Vecchio Continente.