La rotta balcanica si è riaperta? Se è presto per parlare di numeri da esodo biblico come fu nel 2015, sicuramente i Balcani sono da settimane in subbuglio per un nuovo flusso che, per quanto calcolabile nell’ordine di poche migliaia di transiti di migranti, sta interessando la metà occidentale della penisola.
Un tempo il flusso partiva dalle isole egee della Grecia, proseguiva fino ad Atene e da lì seguiva una serie di tappe obbligate fino a Vienna o a Monaco di Baviera: Idomeni, al confine greco-macedone, la capitale serba Belgrado e di lì uno dei tanti posti di frontiera al confine con l’Ungheria o con la Croazia.
A partire dal marzo 2016, però, con l’accordo fra Turchia ed Unione Europea, il presidente turco Recep Erdogan ha iniziato a pattugliare seriamente i confini della Mezzaluna e, dietro la promessa di 6 miliardi di euro, è riuscito a bloccare le partenze. La vecchia rotta balcanica si è asciugata come un fiume in secca ma recentemente i migranti hanno ripreso a marciare verso l’Europa. Per altre vie.
Lo scorso 21 febbraio il ministro bosniaco per la Sicurezza, Dragan Mektic, ha riferito al parlamento di Sarajevo che in Erzegovina gli ingressi clandestini sono aumentati anche del 700%. Dal primo gennaio gli attraversamenti illegali del confine registrati dalle autorità bosniache sono oltre 400: più della metà del totale conteggiato nell’intero 2017. Il governo di Sarajevo, che tra l’altro ha annunciato di non avere abbastanza uomini nell’organico della polizia di frontiera, esprime preoccupazione per la mancanza di controlli ai confini fra gli Stati dei Balcani sud-occidentali, soprattutto alla frontiera fra Albania e Montenegro.
Di qui il flusso prosegue attraverso la Bosnia, dove si dirige verso la località di Velika Kladusa, al confine con la Croazia, e poi verso il fiume Kupa, che segna la frontiera fra il territorio croato e la Slovenia. La stampa croata racconta di un flusso che, nonostante le condizioni proibitive in cui i migranti tentano il guado dei fiumi anche a rischio della vita, cresce lentamente ma costantemente.
La rotta che punta all’Italia
La maggior parte di questi viaggiatori proviene o dal Nordafrica o dal Medio Oriente e dall’Asia centrale, con una consistenza minoranza di profughi che parte dalle regioni più povere della penisola balcanica come il Kossovo e l’Albania.
C’è però anche una diramazione di questa rotta, che abbandona la penisola balcanica già nella Grecia settentrionale e che punta dritta verso l’Italia. Da mesi ormai il porto di Patrasso è teatro di continui scontri fra la polizia e i migranti che cercano con ogni mezzo di salire a bordo dei traghetti e dei cargo diretti a Brindisi e negli altri scali pugliesi. Secondo le organizzazioni umanitarie presenti nella città ellenica, il numero di persone accampate nei sobborghi della città è raddoppiato rispetto a gennaio 2017 e fra i campi profughi di fortuna sorti fra le fabbriche abbandonate e gli edifici in costruzione si è diffusa un’epidemia di scabbia che per i medici volontari in servizio nell’area è “impossibile da debellare”.
Parallelamente, continua indisturbato anche il traffico di piccoli natanti da diporto che, partendo dalle coste di Grecia e Turchia, punta verso le coste del Salento.