La rielezione di Bernie Sanders come senatore per il Vermont non è stata una sorpresa. Il 77enne rappresentante della sinistra americana, già eletto nel 2006 e rieletto nel 2012, era dato fra i certi della vittoria elettorale. E così è stato anche in queste elezioni di Midterm del 2018. Un momento che doveva essere uno spartiacque per la presidenza di Donald Trump e per il mondo progressista degli Stati Uniti. E che invece rischia di essere stato in parte anche controproducente proprio il Partito democratico: che su queste elezioni aveva puntato tutto. E che adesso si pone di nuovo lo stesso interrogativo che riecheggia dal giorno della sconfitta di Hillary Clinton nel 2016: chi candidare contro Trump nel 2020.
Queste elezioni di Midterm hanno lasciato, ancora una volta, un vuoto. Nessuno è stato in grado di primeggiare realmente nel Partito democratico. Nessun leader appare all’orizzonte. E in molti adesso tornano a parlare del vecchio senatore del Vermont. Bernie Sanders. Eletto però non nelle fila dei democratici, ma come indipendente. Una scelta chiara, anche da parte del rappresentante della sinistra americana, battuto proprio dalla Clinton nelle primarie del 2016. Quasi a voler rimarcare un distacco profondo, ideologico e umano, nei confronti del partito più grande del progressismo Usa.
Oggi, con la moria di figure carismatiche in grado di convogliare un voto di massa a favore dell’Asinello, i democratici potrebbero tornare sui propri passi e ripensare alla candidatura di Bernie Sanders. Una scelta complessa, frutto non tanto di una strategia quanto di una mossa quasi disperate. Il progressismo è in penuria di uomini e di idee. E Sanders, con la sua forte opposizione a Trump, le sue idee di sinistra “radicale” per i canoni statunitensi e soprattutto con il costante attacco alla riforma sanitaria voluta dai repubblicano, potrebbe essere una scelta non così distante dai propositi dell’elettorato americano di stampo progressista.
Sanders alla sinistra americana piace. È l’unico che sa dialogare con quel mondo che non si riconosce nei valori e negli uomini del Partito democratico. E avrebbe dalla sua parte anche il fatto che aver perso contro la Clinton ricorda a tutti che forse, con lui, i dem avrebbero potuto sconfiggere The Donald. Sono ipotesi chiaramente: ma nel mondo disastrato del centrosinistra americano non è da escludere una deriva più o meno radicale.
Le elezioni di medio termine hanno dipinto un quadro abbastanza curioso dei vincitori di queste elezioni tra le fila progressiste. C’è una galassia fatta di minoranze di ogni tipo, di persone con idee estreme. un caleidoscopio ideologico, antropologico e culturale che necessita di una figura in grado di convogliare tutte queste differenze in punti di convergenza. Un obiettivo non semplice, che potrebbe essere raggiunto forse soltanto attraverso una virata a sinistra. E questa virata a sinistra avrebbe il nome, appunto, di Bernie Sanders.
Tutto così semplice? No, niente affatto. Sanders si presenta come un socialista democratico. E in un mondo come quello americano, intriso di una cultura ancora profondamente legata ai retaggi del maccartismo, scegliere di essere considerato socialista non è detto sia una mossa vincente. Pesa poi anche l’età: 77 anni non sono pochi per un uomo che deve rappresentare un candidato potenzialmente in carica per molti anni e che dovrebbe correre alle presidenziali alla soglia degli 80 anni. E certamente l’anagrafe punisce un candidato che dovrebbe essere il simbolo del progressismo americano, che ultimamente pare orientato su scelte giovanili e di rottura (vedi il seggio conquistato da Alexandria Ocasio-Cortez).
Inoltre, non piace a tutta quell’ala centrista dei democratici che pesa eccome sul futuro del partito. I neo-con non apprezzano affatto le derive ultra-liberal e fortemente votate al sociale dell’anziano senatore. E le grandi corporation, che nel processo elettorale democratico hanno un peso enorme, non guarderebbero di buon occhio questa candidatura.
Qualche mossa di Sanders sembra essere orientata in questo senso. Politico ha ad esempio posto l’accento sul fatto che il senatore del Vermont sia stato di recente in California, nel distretto di Oakland. Sono molti i papabili dem per le primarie che si sono recati in queste settimane nello Stato occidentale dell’America. La California è un ago della bilancia importantissimo. E tra le fila democratiche, adesso si inizia a respirare aria di primarie. Molti, soprattutto tra i sostenitori di Sanders, credono che debba vincere l’ala più estrema: ma la politica è un gioco molto più complicato.