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Con l’insediamento di Donald Trump molti cavalli di battaglia della sua accesa campagna elettorale si trasformano adesso in realtà. Lo hanno compreso bene, sulla propria pelle, i messicani protagonisti involontari di una teatrale uscita di scena di uno dei player dell’industria mondiale più importanti: la Ford.

E il gesto è stato così plateale lasciando il mondo incredulo da aver innescato nei media internazionali una parola che molti temono di pronunciare: Mexit. Già perché quello che sta succedendo nel paese da sempre backyard, ovvero “il giardino di casa”, degli Stati Uniti ha lo stesso sapore amaro di un’altra uscita di scena, quella della Gran Bretagna dall’Europa, la ben più celebre e mediatica Brexit.Ma la grande differenza è che la Mexit non è stata decisa da nessun referendum e in essa riecheggia solo quel mantra di cui tanto Trump si era riempito la bocca in campagna elettorale: “con me l’America verrà prima di tutto”. Un mantra che è risultato vincente visto che Trump presidente lo è diventato per davvero. E che adesso spariglia e mette in discussione 23 anni di Nafta, il trattato di libero commercio dell’America del Nord, che finora aveva garantito alle due economie, quella statunitense e quella messicana, di completarsi ed aiutarsi a vicenda, generando un business nel 2016 di 506 miliardi di dollari.  Ma adesso che succederà per il Messico?Il Presidente della Ford, Mark Fields, ha minimizzato. “Abbiamo visto diminuire qui negli Stati Uniti la domanda di auto di piccole dimensioni, semplicemente dunque non abbiamo più bisogno di produrle” ha dichiarato a Fox TV. Per poi aggiungere: “abbiamo preso questa decisione solo in base a ciò che è giusto per il nostro business”. Nessun accenno alle nuove linee guida presidenziali, nessun accenno al panico nel quale l’intera popolazione di San Luis de Potosí, nel centro del Messico, è piombata.Quell’impianto era una speranza per 2600 disoccupati e avrebbe iniettato 1600 milioni di dollari nell’economia, generando un indotto importante per tutto il paese. I lavori erano già cominciati, il presidente della Ford si era addirittura impegnato di persona con il presidente del Messico Enrique Peña Nieto. Che adesso teme che molte altre aziende possano seguire l’esempio e che guarda con preoccupazione all’ulteriore svalutazione del peso messicano di fronte al dollaro USA, inarrestabile negli ultimi giorni.“È stato un attacco duro – spiega l’analista Gabriel Guerra – molto duro per il Messico, per San Luis de Potosí, un investimento che la Ford aveva promesso persino al presidente della Repubblica in persona in un grande evento”.E basta farsi un giro nel cantiere di quello che avrebbe dovuto essere l’impianto più grande per la costruzione di auto del Messico per capire che il dramma degli abitanti di San Luis de Potosí potrà rapidamente estendersi ad altre aree del paese. “Siamo disperati – racconta José asciugandosi le lacrime – non ci vogliono negli Stati Uniti, vogliono costruire muri alla frontiera e questa che era un’opportunità per tutti di lavorare nel proprio territorio ci è stata tolta dall’oggi al domani”.Il rischio, infatti, è quello di un Messico nell’era Trump sempre più isolato dallo zio Sam, con una serie di problemi sociali che si riverseranno alla frontiera e con cui gli Stati Uniti, prima o poi, dovranno fare seriamente i conti.

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