Mark Rutte e i suoi alleati stavano tirando troppo la corda, così Angela Merkel ha deciso di prenderli in contropiede: sulla carta, la proposta franco-tedesca per la prima bozza di Recovery Fund in seno all’Unione Europea appare come un monito politico ai Paesi più radicali nel sostegno al rigore sui conti pubblici. La Germania rimane, in condizioni di normalità, ancorata alla visione mercantilista e austeritaria della governance economica europea, ma ha una centralità politica e strategica da conservare nel Vecchio Continente e sa che, in condizioni come quelle attuali, mandare l’Unione allo schianto per l’irrigidimento sul rigore non è nei suoi interessi nazionali.
La Merkel si è dimostrata la padrona della scena in questa crisi: dapprima è riuscita a portare avanti in prima linea la terna Mes-Bei-Sure come garanzia anti-crisi, poi ha incassato il rinvio al 2021 dell’entrata in vigore di un eventuale Recovery Fund, mettendosi dunque a pedalare in testa al gruppo per dettare ritmi, tempi e toni della sua strutturazione.
La Cancelliera oramai punta con forza l’idea di un quinto mandato alla guida della Germania dopo le elezioni del 2021 e deve guardarsi da tre minacce: in primis, ovviamente, la crisi del coronavirus e la recessione globale prossima ventura; in secondo luogo, il rischio che l’estremismo austeritario dell’Olanda e dei suoi alleati “anseatici” trascini Berlino fuori fase, come sembrava esser destinato a succedere nelle prime battute della risposta alla crisi; infine, in terzo luogo, i mugugnii e i potenziali complotti politici che, sul fronte opposto, la sua coalizione potrebbe subire se apparisse che la Germania lasci eccessivo spazio alla Francia e ai Paesi mediterranei nella strutturazione delle politiche europee di spesa.
La Merkel, in questo contesto, ha deciso di prendere l’iniziativa, consolidando l’inerzia acquisita nelle ultime riunioni dell’Eurogruppo e del Consiglio europeo: la scelta della mossa concordata con Emmanuel Macron è dunque nata dall’esigenza di rinsaldare la graniticità dell’asse franco-tedesco di fronte alle minacce di sgretolamento dell’Unione sul fronte della risposta al coronavirus. “Stavolta è stata Angela a chiamare Emmanuel”, fa notare Dagospia. “Mercoledì scorso è partita una telefonata verso l’Eliseo per sbloccare la situazione. D’altra parte la prima volta fu la Francia a fare il primo passo, con Macron che diede incarico al ”suo” commissario europeo Thierry Breton di prendere Gentiloni e scrivere insieme la proposta del Recovery Fund ‘da 1500-1600 miliardi”. Tre volte tanti quelli che la Merkel e Macron hanno ipotizzato come base negoziale da proporre ai partner europei per il loro Recovery Fund.
La Merkel tiene così il pallino del gioco e spiazza quei super-falchi, dall’Olanda all’Austria, che erano diventate le vere minacce all’egemonia tedesca nell’Europa, dato che con la loro difesa a oltranza mostravano lacune, vuoti e carenze di quell’austerity divenuta croce del Vecchio Continente e la cui origine è da identificare nel mito germanico del pareggio di bilancio, assunto come dogma da Paesi fortemente vocati alla competizione fiscale e commerciale.
Al tempo stesso, la Merkel toglie d’impaccio Ursula von der Leyen, che stava mostrando debolezze e incertezze nel governare la risposta alla crisi. La soglia dei 500 miliardi ipotizzata nella proposta franco-tedesca non dà ai “frugali” l’alibi di essere una proposta eccessivamente espansiva ma al tempo stesso mette i Paesi mediterranei di fronte al fatto compiuto: e nel novero rientra anche l’Italia che vede spiazzata, una volta di più, una politica ingenua conclusasi nell’esclusione di Roma dal tavolo franco-tedesco per il nuovo piano comunitario. L’asse franco-tedesco esiste e resiste: a Roma e L’Aja dovranno farsene una ragione.