Oggi si celebra il trentesimo anniversario dalla caduta del Muro di Berlino. Evento storico che portò non soltanto al collasso del socialismo reale e del blocco sovietico ma anche all’unificazione della Germania. Secondo il politologo Francis Fukuyama era la fine della storia (The End of History?) titolo omonimo di un suo famoso saggio pubblicato su The National Interest dello stesso anno e poi diventato un libro nel 1992, la cui tesi era che il sistema politico liberal-democratico avrebbe rappresentato il momento culminante e terminale della lunga evoluzione storica dell’umanità.
Nel 1990, il politologo John J. Mearsheimer, uno dei più importanti e influenti studiosi di relazioni internazionali, professore di Scienze Politiche presso l’Università di Chicago, pubblicava sulla rivista International Security un saggio sulla fine della Guerra fredda che fece molto discutere: Back to the Future: Instability in Europe after the Cold War. Che cosa ha scatenato la guerra in Europa nella prima metà del Novecento? Perché gli anni del dopoguerra sono stati molto più pacifici? Che cosa sarebbe accaduto in Europa dopo la fine della Guerra fredda? In questo saggio John J. Mearsheimer, si pone tutte queste domande arrivando alla conclusione che “le chiavi di lettura della guerra e della pace si nascondono nella struttura del sistema internazionale, piuttosto che nella natura dei singoli stati”.
Il politologo Mearsheimer: “La Guerra fredda pose fine a un periodo stabile”
Che effetti ebbe la fine della Guerra Fredda sul continente europeo? È lo stesso John J. Mearsheimer a raccontare a InsideOver che “la fine della Guerra fredda nel 1989 ebbe un effetto profondo sulla geopolitica dell’Europa, poiché pose fine alla competizione tra le superpotenze che avevano dominato la vita europea dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi. Quella competizione intensa e amara, che divise l’Europa in due campi opposti, aveva comunque prodotto stabilità nel Continente”. In Ritorno al futuro, il celebre accademico riflette su cosa sarebbe potuto accadere in Europa negli anni successivi: “La fine di quella competizione bipolare – osserva – lasciava aperta la possibilità che l’instabilità, forse persino la guerra, sarebbe tornata nel cuore dell’Europa, se sia i sovietici che gli americani avessero rimosso tutte le loro forze dalla regione. Mosca rimosse poi le sue truppe e, in effetti, l’Unione Sovietica si sciolse nel 1991”.
Ma l’esercito degli Stati Uniti, sottolinea Mearsheimer, è rimasto in nel continente europeo, “dove da allora è stato il ‘pacificatore’ della regione”. La Guerra Fredda fu, in effetti, un periodo relativamente stabile. “Fu pacifica, ma nel senso che le due superpotenze [Stati Uniti e Unione Sovietica] non combatterono una guerra tra loro, come molti pensavano potesse accadere. Dato che entrambe le potenze avevano migliaia di armi nucleari, siamo stati profondamente fortunati che Unione sovietica e Stati Uniti non abbiano combattuto la Terza Guerra Mondiale”. Fu un periodo senza guerre? Certo che no. “Le due superpotenze – afferma lo studioso americano – hanno combattuto un numero di guerre mortali in luoghi come l’Afghanistan, la Corea e il Vietnam, e i sovietici fronteggiarono un breve conflitto in Ungheria nel 1956. Inoltre, c’erano molte guerre in tutto il mondo che non coinvolgevano direttamente le due superpotenze, come la guerra Iraq-Iran tra il 1980 e il 1988″.
Molto si è scritto del saggio di Mearsheimer sulla fine della Guerra fredda. Come notava Angelo Panebianco lo scorso anno sul Corriere della Sera, “quel saggio suscitò una valanga di critiche. Era in controtendenza rispetto al clima euforico, da dopoguerra, che prevaleva in Occidente in quel momento. Mearsheimer venne considerato un guastafeste. Fu un coro unanime: altro che ritorno della politica di potenza – si disse -, mai come ora la collaborazione fra gli europei è stata così stretta, il passato non può ritornare. Il problema con le scommesse/profezie sul futuro è che non bastano quasi mai pochi anni per decidere della loro validità o falsità”.
Così la Germania unificata ha stravolto gli equilibri in Europa
L’unificazione della Germania e la fine della Guerra fredda, tuttavia, produssero conseguenze inattese sugli equilibri geopolitici internazionali: la fine del bipolarismo dominata dalle due superpotenze (Stati Uniti e Unione sovietica) portò alla nascita di un nuovo ordine mondiale. Con delle conseguenze importanti, come spiegato dallo storico Sergio Romano su il Corriere della Sera.
La possibilità di una imminente unificazione tedesca non convinceva tutti. Tra i più scettici c’era sicuramente Margaret Tatcher, al tempo primo ministro britannico. Come ricorda Romano, Margaret Tatcher fece una sosta a Mosca dopo una visita a Tokyo nel settembre 1989, dove ebbe una riunione a quattrocchi nella sala di Santa Caterina del Cremlino, con Mikhail Gorbaciov, presidente dell’Unione Sovietica e segretario generale del Partito comunista. La “lady di ferro” disse al suo interlocutore che la Gran Bretagna non desiderava la riunificazione tedesca “perché temeva mutamenti territoriali che avrebbero pregiudicato gli equilibri del secondo dopoguerra”. Pertanto Thatcher, avrebbe garantito a Gorbaciov che la Nato non si sarebbe adoperata per la dissoluzione del Patto di Varsavia.
Chi è John J. Mearsheimer
Mearsheimer è un noto esponente della scuola del realismo politico contemporaneo, che ha radici e tradizione in Machiavelli, Hobbes, fino a capisaldi del Novecento come Edward Hallett Carr, Hans Morgenthau, Kenneth N. Waltz. Nel suo celebre lavoro The Tragedy of Great Power Politics del 2001 Mearsheimer ha definito la teoria strutturale del “realismo offensivo”, secondo la quale le grandi potenze “sono impegnate principalmente a studiare il modo di sopravvivere in un mondo in cui non esiste alcuna agenzia che le protegga l’una dalle altre”, quindi in un sistema sostanzialmente anarchico.

Lo scorso anno, lo studioso americano ha pubblicato The Great Delusion. Liberal Dreams and International Realities (Yale Press University) la cui pubblicazione ha generato un grande dibattito negli Stati Uniti, tant’è il Financial Times lo ha inserito tra le più importanti opere del 2018. Secondo il professore, sposando l’egemonia liberale dopo la fine della Guerra fredda, la politica estera degli Stati Uniti è stata un fallimento dietro l’altro. E ciò sarebbe dovuto a una visione distorta della politica internazionale.