“L’era della pazienza strategica è finita”. Il consigliere alla Sicurezza nazionale della Casa Bianca, H.R. McMaster, non è stato certamente incline alla diplomazia con le sue affermazioni al Foro annuale Reagan sulla sicurezza, in California. Parole che erano rivolte in particolare alla crisi con la Corea del Nord e che suonano come un vero e proprio monito a tutta la comunità internazionale, oltre che a Kim Jong-un. “Presto il presidente rivelerà i dettagli della sua nuova strategia e possi dirvi che sarà centrata sulla protezione del nostro territorio, sull’aumento della nostra prosperità, sulla tutela della pace attraverso la forza e, infine, sull’aumento dell’influenza americana”. Quello definito dal generale McMaster sembra essere un vero e proprio programma di politica estera degli Stati Uniti per il prossimo futuro, quasi a voler definire per la fine del 2017 e del primo anno di Donald Trump gli obiettivi della politica della nuova amministrazione nel mondo. Obiettivi che si incentrano sull’idea degli Stati Uniti come di una fortezza che si protegge e che è disposta a difendere i propri interessi in ogni parte del mondo anche andando a rivoluzionare la stessa strategia americana delle amministrazioni precedenti.

La fine della “pazienza strategica” è un concetto espresso dallo stesso presidente Trump lo scorso mese, quando, in conferenza stampa con il primo ministro giapponese, Shinzo Abe, confermò la fine di questo modello di azione Usa nei confronti della Corea del Nord. McMaster, sotto questo profilo, non ha detto nulla di nuovo rispetto al leader americano. Ma la differenza è che questa volta a dirlo non è stato l’eclettico presidente degli Stati Uniti che ha fatto della retorica muscolare un suo cavallo di battaglia, ma uno dei generali più esperti e più influenti all’interno della Casa Bianca. E lo ha fatto andando a definire anche la nuova strategia Usa, quindi non soltanto negando una precedente idea politica, ma definendo quella del futuro, e cioè quella secondo cui il presidente baserà le sue decisioni sulla sicurezza nazionale non in base a un’idea prestabilita, “un’ideologia rigida”, come l’ha definita il generale,  ma sulla difesa della “essenza degli interessi nazionali”.  

Il generale McMaster ha espresso alcune importanti opinione riguardo Corea del Nord e Iran che danno un suggerimento molto importante su come l’amministrazione Trump intenda relazionarsi con le due maggiori crisi internazionali. Il generale ha accusato sia Teheran che Pyongyang di “violare la sovranità dei loro vicini” e di “esportare il terrore nelle altre nazioni”. Parole molto dure che scavano un solco profondissimo nelle relazioni fra gli Stati Uniti con questi due Paesi, già pessime, e che mostrano come l’approccio diplomatico degli Usa sia stato completamente abbandonato rispetto a un approccio violento e unilaterale. La scelta dell’amministrazione Trump sembra essere ormai orientata verso una visione manichea del mondo, del bene contro il male. Iran e Corea del Nord non sono nemici con cui si può dialogare, almeno non apparentemente, ma nemici con cui l’unica soluzione è la sconfitta. E la ripresa del concetto di “asse del male” sembra suggerire questa nuova scelta strategica trumpiana assolutamente contraria al compromesso.

La scelta delle parole di McMaster comporta inevitabilmente lo scontro con la visione del Segretario di Stato, Rex Tillerson, da sempre ancorato a un’idea molto pragmatica e di “concordato” rispetto a quella unilaterale più tipica del Pentagono. E il fatto che il generale consigliere della Sicurezza nazionale parli apertamente di politica estera, quasi sostituendo, nell’immaginario collettivo, la figura del Segretario Usa, è una dimostrazione eloquente della caduta di Tillerson dall’Olimpo trumpiano. Caduta che sembra ormai sempre inevitabile anche dopo le ultime indiscrezioni che vorrebbero il direttore della Cia, Mike Pompeo, come sostituto di Tillerson per la Segreteria. Proprio sotto quest’ultimo profilo, da sottolineare la presenza dello stesso Pompeo alla conferenza in California. Interrogato durante la conferenza sulle stesse questioni citate da McMaster, e cioè Usa e Iran, Pompeo ha avuto un modo di relazionarsi con le due crisi molto più diplomatico, quasi a voler già dimostrare una sua capacità di sedere al posto di Tillerson come Segretario di Stato. “Crediamo che Kim Jong-un sia un attore razionale, ma temiamo non sia ben consigliato da quelli che lo circondano”, ha detto Pompeo, facendo quindi intendere che conosce a fondo il problema nordcoreano e la guerra interna a Pyongyang fra casta dei militari e dittatore. E a proposito dell’Iran, ha invece confermato di aver scritto a rappresentanti politici e militari del Paese cercando di convincerli sul ruolo minaccioso di Teheran in Iraq, con il sostegno alle milizie popolari. Stesso problema sollevato di recente da Emmanuel Macron. Un segnale di come nelle cancellerie mondiali, le idee di Pompeo siano condivise anche da altri importanti attori.

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