Il consigliere per la sicurezza nazionale, H.R. McMaster, ha invocato l’intera comunità internazionale ad agire contro i “proxy” iraniani in Medio Oriente. “Questa rete di procure sta diventando sempre più forte in quanto l’Iran (dispiega) armi sempre più forti, sempre più distruttive in queste reti. Quindi è ora di agire contro l’Iran“, ha detto il consigliere come riporta il Jerusalem Post. McMaster ha accusato Teheran di aver provocato una campagna di escalation tesa ad aumentare la sua influenza in Medio Oriente, replicando il “modello Hezbollah” in tutti gli Stati interessati dalla mezzaluna sciita. L’obiettivo, a detta del consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, è quello di indebolire i governi arabi e creare le forze sostitutive contro quei governi se perseguono politiche contrarie agli interessi di Teheran. Un’accusa che, di fondo, potrebbe essere tranquillamente rivolta anche alle forze sostenute all’Occidente negli Stati che si oppongono alla sfera d’influenza che fa capo a Washington. Poiché è così che va la politica regionale in Medio Oriente, piaccia o meno.
Le parole di McMaster non sorprendono per l’oggetto. L’Iran è un avversario degli Stati Uniti, Donald Trump lo ha sempre dichiarato. Tuttavia, quello che colpisce è non soltanto la veemenza dei discorsi di McMaster, così diretti e sostanzialmente sintetizzabili in una vera e propria dichiarazioni indiretta di guerra, ma anche il fatto che la conferenza sulla sicurezza di Monaco si stia trasformando sostanzialmente in un tribunale che accusa Teheran di influire negativamente sul Medio Oriente e rischia di creare le basi per un proseguimento delle guerre che già da molti anni devastano la regione.
Le parole del consigliere per la sicurezza nazionale arrivano in un momento estremamente delicato. I raid israeliani in Siria hanno di fatto rappresentato il punto di svolta della strategia israeliana in Siria. Tel Aviv aveva da sempre chiesto che le forze iraniane e quelle collegate all’Iran fossero tenute distanti dal confine israelo-siriano. Le dinamiche della guerra e le de-escalation zones hanno di fatto disatteso le pretese di Israele che adesso interviene molto più direttamente nel conflitto. Per Israele, la Siria rappresenta il terreno di scontro per fermare l’Iran. A Tel Aviv non interessa direttamente rovesciare Assad: interessa che la Siria non sia alleata dell’Iran. Se poi, per ottenere questo scopo, è necessario passare su Damasco, allora anche il governo di Assad diventa un obiettivo. Una guerra facilitata tra l’altro dal problema delle alture del Golan che persiste e che sembra essere ancora lontano da una sua risoluzione.
Per colpire Assad, però, è necessario un motivo giuridicamente e politicamente sostenibile di fronte alla comunità internazionale. L’unico strumento, per ora, sembrano essere le armi chimiche. E infatti, alla conferenza tedesca, McMaster ne ha parlato nuovamente: “Documenti pubblici e foto mostrano chiaramente che l’uso di armi chimiche di Assad sta continuando. È ora che tutte le nazioni fermino il regime siriano e i suoi sponsor responsabili delle sue azioni e sostengano gli sforzi dell’Organizzazione per il divieto delle armi chimiche “, ha affermato. Una dichiarazione che va messa in parallelo anche con le recenti parole del presidente francese, Macron, su un possibile intervento in Siria qualora sia accertato l’uso di gas da parte delle forze del governo di Damasco. E notizie su un attacco congiunto franco-americano, esistono e sono state riportate anche in questa testata.
McMaster si è anche scagliato contro l’accordo nucleare del 2015, sostenendo che gli investimenti fatti da aziende tedesche e altri stavano contribuendo a finanziare il programma missilistico dell’Iran e le sue altre attività in Medio Oriente. Un’accusa molto pesante rivolta ai padroni di casa tedeschi e che pone un solco importante fra la politica americana e quella europea sul fronte iraniano. Ed ha rivolto accuse molto particolari (e anche specifiche) a quelli che ritiene i maggiori partner commerciali dell’Iran, non solo Russia e Cina, ma anche Giappone, Corea del Sud e Germania. “Per quanto riguarda la sicurezza internazionale e la coscienza morale dobbiamo smettere di fare affari”, ha detto McMaster. Il fatto che non abbia citato la Francia, uno dei maggior investitori in Iran, è molto interessante alla luce del possibile intervento in Siria.
E adesso, l’attesa è per il possibile incontro di Netanyahu con Trump il 5 marzo alla Casa Bianca. Il vertice sarà di fondamentale importanza e metterà sicuramente in chiaro molti dei punti della crisi mediorientale in cui è coinvolto l’Iran. Le parole di Netanyahu a Monaco e le accuse all’Iran con il colpo di teatro del pezzo di drone iraniano portato durante la conferenza stampa, non lasciano dubbi: il governo israeliano ha intenzione di proseguire nella sua sfida a Teheran. Gli Stati Uniti lo seguiranno, ma hanno intenzione di vedere le cose con una maggiore chiarezza. Avere il Medio Oriente incendiato da una guerra su vasta scala potrebbe essere un rischio molto alto per la fragile tenuta della geopolitica americana nella regione.