Cosa c’entra la Mauritania con i discorsi inerenti la sicurezza e la stabilità del Mediterraneo? Questo paese a cavallo tra Sahara e Sahel, vero e proprio cuscinetto politico e culturale tra Magreb ed Africa sub sahariana, è molto vasto ma conta meno di quattro milioni di abitanti. Per di più, due terzi del suo territorio sono desertici e solo l’1% del terreno è coltivabile. Sembrerebbe dunque una nazione di periferia rispetto al contesto regionale. Ma così non è: in primis, perché la Mauritania possiede non poche risorse energetiche soprattutto nelle sue acque territoriali. Non mancano inoltre oro e diamanti, con molti giacimenti di recente scoperta. In secondo luogo, la Mauritania è molto più vicina all’Europa di quanto ci si possa aspettare: c’è un volo quotidiano che collega in 90 minuti Nouadhibou, la seconda città del paese (nonché importante porto sull’Atlantico) con Las Palmas.

E poi, sempre da un punto di vista geografico, il paese confina con nazioni quali Mali ed Algeria e dunque assume un’importanza strategica sotto il profilo della sicurezza e della lotta al terrorismo. In poche parole, sono tanti gli elementi per guardare da vicino a quanto accade in Mauritania a poche ore dal voto svoltosi nella giornata di sabato.

Il contesto pre elettorale

Non sempre grandi paesi con poca densità abitativa sono in pace, la Libia è un esempio molto vicino a casa nostra che ce lo ricorda (od almeno dovrebbe ricordarcelo). Meno di quattro milioni di abitanti in uno spazio molto ampio, è questa la Mauritania ma, contrariamente a quanto si possa credere, il clima nel paese non è dei più sereni. La lingua ufficiale è quella araba, ma gli arabi in realtà sono una minoranza e rappresentano a stento il 30% della popolazione. La restante parte appartiene ad etnie sub sahariane oppure a popolazioni africane mescolatesi nel tempo a quelle arabe. I rapporti interni non sono proprio idilliaci. Basti pensare che il reato di schiavitù viene abolito da queste parti soltanto nel 1961, con la popolazione nera che spesso denuncia condizioni di vita di gran lunga più difficili rispetto a quella araba.

Anche per questo la storia è costellata di colpi di Stato, l’ultimo avviene nel 2008 e manda al potere il generale Mohamed Ould Abdel Aziz. Quest’ultimo, tolta la divisa e vestiti i panni da politico, vince agevolmente le elezioni del 2009 e del 2014. Promette la lotta contro il terrorismo e questo sta bene all’occidente, le cui cancellerie lo giudicano suo alleato nonostante il suo esecutivo non brilli proprio per trasparenza e democrazia. Secondo la costituzione, Aziz non può più ricandidarsi: “Torno ad essere un normale cittadino, né premier e né ministro” annuncia ad inizio anno.

Si va dunque alle elezioni tenute sabato: alle urne si recano un milione e mezzo di cittadini, un’affluenza giudicata buona ma non verificabile da parte di enti internazionali che il governo non accetta durante la giornata elettorale. A contendersi la leadership sono sei candidati: si va dal delfino del presidente uscente, Mohamad Ould Ghazouani, passando per un ex fedelissimo di Aziz, ossia Mohamad Ould Boubacar. Quest’ultimo appare appoggiato dal miliardario (in esilio) Mohamed Ould Bouamatou, cugino del capo di Stato uscente. Così come anche dal partito Tawassoul, vicino alla fratellanza musulmana. L’altro candidato in grado di arrivare ad una percentuale a due cifre è l’attivista anti schiavitù Biram Dah Ould Abeid.

Una vittoria annunciata

Non c’è ancora la proclamazione ed in effetti quando arrivano i primi risultati nella giornata di domenica, la situazione desta stupore. Anche se occorre contare “solo” un milione e mezzo di schede, la geografia mauritana e le metodologie elettorali non proprio all’avanguardia a livello tecnologico, difficilmente alla vigilia sembrano offrire garanzie di celeri scrutini. Ed invece proprio il candidato vicino al presidente uscente si autoproclama vincitore, esibendo dati ufficiosi: Ghazouani afferma di aver vinto con il 52% dei consensi, superando dunque la soglia per evitare il ballottaggio.

Accompagnato proprio da Aziz, il presidente in pectore si reca al centro dei congressi della capitale Nouakchott esibendo i responsi elettorali. Dal canto suo la commissione elettorale afferma che, in realtà, i risultati dovrebbero essere diffusi soltanto tra lunedì e martedì. Al contrario, risultano ufficiali invece già domenica sera e confermano la vittoria di Aziz con il 52%. Dietro di lui, ma molto staccato e fermo al 18%, si piazza invece Boubacar.

L’opposizione parla di poca trasparenza, in alcune città si accenna a qualche protesta ed arrivano sporadiche notizie di feriti. Ma complessivamente, almeno per il momento, la situazione dovrebbe essere calma. Aziz potrebbe quindi essere a breve proclamato presidente, in un passaggio di consegne sì pacifico (fatto raro in Mauritania) ma al tempo stesso fin troppo prevedibile.





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