Qualche anno fa Marjorie Taylor Greene era soltanto un’istruttrice di Crossfit che viveva nella profonda Georgia nord-occidentale e che diffondeva sul web le più strampalate teorie cospirazioniste. Poi è stata per circa un paio d’anni una deputata ostracizzata dalla maggioranza democratica, considerata un prodotto del trumpismo in fase terminale e da non prendere minimamente sul serio, tanto da essere esclusa da ogni commissione congressuale. Dopo le elezioni di metà mandato, Greene non solo è stata rieletta, ma si è trasformata in una faccia nuova del trumpismo cosiddetto “responsabile”, sostenitore dello speaker Kevin McCarthy e nel contempo fedelissima dell’ex presidente Donald Trump, che secondo alcune fonti la starebbe considerando per inserirla eventualmente nel ticket presidenziale nel 2024.
I momenti controversi
Un’irresistibile ascesa che costringe a mettere a fuoco per bene le idee e le sparate del personaggio, che non cessa di essere costantemente sopra le righe su quasi ogni questione dirimente della politica americana. In certi circoli complottari, la fama di Greene è molto alta e del resto se n’è fatti mancare pochi: a cominciare da due esperienze giornalistiche, se così si possono definire. Ha scritto ben cinquantanove articoli per un sito chiamato Truth Seekers e a partire dal gennaio 2018 ha partecipato alla redazione di un sito di fake news con un nome neutrale, Law Enforcement Today, che nascondeva in realtà la diffusione di notizie tendenziose.
Infine, su Facebook, ha moderato un gruppo di discussione della pagina “Family America Project” dove si mandavano minacce di morte ai democratici e si attaccava la famiglia “musulmana” di Obama. Non mancava il riferimento a una delle più antiche teorie cospirative, quella propagata dal gruppo estremista John Birch Society nel corso degli anni ’50: Eisenhower era segretamente un comunista e avrebbe fatto infiltrare il governo americano dal nemico. Con questo curriculum era quasi scontata la sua discesa in politica, nella frangia più estrema del movimento trumpiano.
La campagna elettorale e l’arrivo al Congresso
Il suo momento di notorietà arrivò nel 2019, a febbraio, quando durante un tour guidato del Congresso, andò a bussare con insistenza alla porta dell’ufficio della deputata Alexandria Ocasio Cortez, chiamandola ad “affrontare i cittadini che dovrebbe servire” e insultandola volgarmente. Il video andò su Facebook e la rese famosa in certi circoli radicali, tanto che, a dicembre, annunciò di volersi candidare al Congresso nel quattordicesimo distretto della Camera dei Rappresentanti, dove il deputato Tom Graves aveva annunciato di non voler fare altri mandati. Greene non viveva lì, ma comprò una casa nella cittadina di Rome, anche se la legge della Georgia richiede come requisito per i candidati di avere la residenza nello Stato, ma non precisamente nel distretto.
A febbraio 2020 Greene annunciò durante un comizio di voler far della contea di Walker “un santuario del secondo emendamento”, imbracciando una bandiera degli “American Patriots”, un gruppo di estrema destra. A un comizio a luglio, invece, fece una foto insieme a Chester Doles, discendente di un fondatore del Ku Klux Klan ed egli stesso membro dell’organizzazione terroristica, con precedenti penali per violenze e reduce da un lunga detenzione nello stato del Maryland. Questo, ovviamente, la fece trionfare alle primarie, diffamando l’avversario John Cowan, anche lui come Greene sostenitore di Trump, ma dipinto come “centrista”.
Pur non avendola sostenuta, il presidente Trump twittò “è nata una star”. Nel distretto, pesantemente repubblicano, Greene vinse le primarie, definendosi come “l’incubo peggiore” della Squad di Alexandria Ocasio Cortez, spesso postando foto con armi d’assalto. La diffidenza nei suoi confronti da parte del partito repubblicano della Georgia è esemplificata dall’esiguità della donazione nei riguardi della sua campagna: poco più di cinquemila dollari.
Ad ogni modo, il suo arrivo al Congresso certo non passò inosservato, annunciando di voler “cacciare a pedate” la speaker Nancy Pelosi e rifiutandosi fermamente di indossare una mascherina nelle aree interne della Camera (siamo a gennaio 2021, in piena pandemia). Dopo l’assalto al Congresso del 6 gennaio, in un primo momento condannò le violenze, ma pochi giorni dopo diffuse l’ennesima teoria complottista, dicendo che in realtà gli assalitori erano membri del gruppo di estrema sinistra Antifa.
Da emarginata a esponente di punta del Gop
Il 4 febbraio 2021, la maggioranza democratica nell’assemblea gli tolse tutti gli incarichi nelle commissioni, pur non riuscendo a raccogliere i voti necessari per espellerla. Anzi, nel biennio congressuale appena trascorso, Greene riuscì a scavarsi una particolarissima nicchia politica: rimanere la beniamina del mondo trumpiano, esprimendo la sua posizione ostile nei confronti degli aiuti all’Ucraina, apparendo alle conferenze di America First, gruppo suprematista bianco fondato dal blogger Nick Fuentes e presentando cinque risoluzioni di impeachment nei confronti di Joe Biden, la prima addirittura nel suo secondo giorno di presidenza.
Nel frattempo, però si è saputa guadagnare la fiducia del leader Kevin McCarthy, che ha sempre respinto le richieste dem di espellerla. A differenza di altri trumpisti come Matt Gaetz e Chip Roy, lo ha sostenuto dopo le elezioni di midterm nella sua ambizione di diventare speaker, respingendo i tentativi dei suoi colleghi del Freedom Caucus di trovare un candidato alternativo. L’azzardo ha pagato: Greene è stata nominata nella prestigiosa Commissione per la Sicurezza Nazionale, destando la preoccupazione di quei repubblicani che sono perplessi dalle sue dichiarazioni sul sostegno all’Ucraina, ribadito anche recentemente alla conferenza del Cpac. E non si ferma qua: qualora Trump riesca nuovamente a conquistare la nomination repubblicana, l’ex presidente sta pensando seriamente a Greene come sua candidata vicepresidente. Non male, per chi ha cominciato la sua carriera politica parlando di complotti su Facebook.