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Marine Le Pen è convinta che, cambiando l’ordine di qualche addendo, il risultato possa cambiare. Non si spiega altrimenti l’operazione di modificare nome e immagine al “suo” Front National. Per stessa ammissione della leader sovranista, l’intenzione è quella di far sì che i francesi superino il “blocco psicologico” relativo ai frontisti.

“Front” sarebbe una parola troppo oppositiva. “Rassemblement”, invece, permetterebbe di guardare alla formazione politica in questione in modo meno pregiudiziale. “Radunare” per convincere i transalpini che anche il sovranismo può divenire forza di governo. “En Marche!”, del resto, è il risultato di un intervento di maquillage

“Raggruppare”, però, vuol dire anche aprire ad altre forze conservatrici in grado di aumentare i consensi. In queste ore si parla di una possibile adesione di Dupont Aignan, l’esponente con cui la Le Pen si è alleata per il ballottaggio alle scorse presidenziali. Voci non confermate, dato che Dupont dovrebbe addirittura presentare una sua personalissima lista alle prossime elezioni europee. Nonostante le buone intenzioni, insomma, il quadro partitico stenta a modellarsi sui desiderata di Marine, che nel frattempo deve anche buttare un occhio su quello che fa sua nipote. 

Sì perché Marion  sembrerebbe essersi stancata della dinastia cui appartiene. La nipote prediletta di Jean Marie ha deciso di cambiare cognome. Niente più “Le Pen” dopo Marion Maréchal. L’ex  enfant prodige della politica francese ha specificato che la sua scelta deriva solo dall’esigenza di tornare a essere una semplice cittadina. “Non mi vergognerò mai – ha detto – di chiamarmi Le Pen”. Ma c’è anche un’altra tesi.

Marion ha smesso con la politica,  ma ha partecipato alla più importante assise annuale dei conservatori americani. Marion ha dichiarato di volersi ritirare dalla contesa elettorale, ma la sua popolarità  ha da poco superato quella della zia. Qualcuno comincia a sospettare che il passo di lato di Marion sia solo temporaneo. Si dice che Steve Bannon abbia individuato in Marion la persona abile a guidare la costituzione di una “Internazionale populista”. Staremo a vedere. Di certo c’è che in pochi si stupirebbero se Marion, prima della sfida con Emmanuel Macron, si palesasse sulla scena politica chiedendo la candidatura a presidente. Marine ha già perso due elezioni presidenziali. 

Poi c’è la questione generazionale. La scelta di far nascere il “Raggruppamento nazionale” serve anche per convincere i più giovani che votando Le Pen non stanno scegliendo il trapassato remoto. Jean Marie  ha parlato di “tradimento” e di “cancellazione vergognosa dell’identità”. La bsse però sembrerebbe convinta della bontà della decisione. Il cambio di nome è passato attraverso cinquantamila voti dei militanti. I sovranisti d’oltralpe si sono stancati di perdere e per invertire la tendenza potrebbero anche optare per l’apertura ai tanto osteggiati repubblicani, ma siamo ancora nel campo della fantapolitica. 

Infine c’è il destino del populismo. Fino a qualche mese fa sembrava che le sorti dei sovranisti europei passassero obbligatoriamente per l’Assemblea nazionale francese, poi sono arrivati il governo austriaco di Sebastian Kurz, i risultati dell’Afd in Germania, il consolidamento del gruppo di Visegrad e, per ultimo in ordine di tempo, il “contratto di governo” tra la Lega di Matteo Salvini e il MoVimento 5 Stelle di Luigi Di Maio.

I riflettori sulla Senna si sono spenti, ma la Francia rimane la nazione a cui si guarda quando un partito populista europeo si afferma elettoralmente. Anche per il governo italiano è stato sottolineato il  placet lepenista. La partita “contro”il cosiddetto establishment è lungo, il quadro partitico è in evoluzione, ma resta la sensazione che il lepenismo funga ancora da perno per la battaglia sul ripristino della sovranità.

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