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Venerdì a Washington si è tenuta la seconda tornata di colloqui di quest’anno tra i più alti livelli delle diplomazie di Cina e Stati Uniti che avevano l’obiettivo di disinnescare le tensioni andate acuendosi per le questioni del Mar Cinese Meridionale e di Taiwan.

Il segretario di Stato Mike Pompeo ha incontrato Yang Jiechi, direttore dell’Ufficio Affari Esteri di Pechino e il ministro della Difesa Wei Fenghe dopo che il summit di settembre era stato annullato dalla Cina come protesta per l’elevazione di sanzioni da parte degli Stati Uniti in risposta all’acquisto dei sistemi da difesa aerea S-400 e di caccia Sukhoi Su-35.

Washington infatti, si riserva il diritto di sanzionare qualsiasi Paese che compri materiale bellico made in Russia grazie al Caatsa, un atto ratificato lo scorso agosto dal presidente Trump. Sanzioni che però non valgono per tutti, come abbiamo già avuto modo di vedere per il caso indiano.

La situazione tra Cina e Stati Uniti

I colloqui quindi si inseriscono in un contesto di gelo dei rapporti tra i due Paesi a seguito sia della guerra dei dazi voluta da Trump, sia soprattutto delle manovre “poco amichevoli” delle rispettive Forze Armate nelle acque del Mar Cinese Meridionale.

Oltre le sanzioni di Washington già citate, elevate ad agosto, e oltre le accuse rivolte a Pechino di aver interferito nelle elezioni di mid-term, a fine settembre un cacciatorpediniere cinese Type 052C, il Lanzhou, è quasi entrato in collisione con l’USS Decatur, una unità simile della classe Arleigh Burke che stava incrociando a 12 miglia dall’arcipelago conteso delle Spratly, più precisamente nei pressi dell’atollo di Gaven Reef.

 L’incidente in mare è arrivato a pochissimi giorni dall’annuncio americano della futura vendita a Taiwan di componenti per aerei militari e pertanto non risulta essere un caso.

La Cina ha inoltre chiuso, negli ultimi tre mesi, i canali diplomatici con gli Stati Uniti che riguardano le questioni militari ed economiche generando così uno stallo nelle relazioni tra i due Paesi che non lasciava presagire nessuna via di uscita rispetto alla crisi che intercorre.

I colloqui sono stati inutili

Ciò premesso si può capire perché i colloqui di venerdì tra le due delegazioni di alto livello si siano risolti in un nulla di fatto, con la Cina e gli Stati Uniti fermi sulle loro posizioni.

Fonti del South China Morning Post rivelano infatti che le due parti, nonostante lo scambio di opinioni, non abbiano chiarito nulla più di quanto fosse stato fatto in precedenza.

Da una parte gli Stati Uniti hanno ribadito la loro preoccupazione per quanto la Cina sta facendo oltre i propri confini terrestri, con la politica di espansione verso i suoi mari prospicienti, in particolare il Mar Cinese Meridionale, che è foriera di destabilizzazione, non dimenticando di citare anche il problema dei diritti umani e della libertà di religione che non sarebbero garantiti da Pechino.

In particolare Pompeo e il segretario della Difesa Mattis hanno per la prima volta detto in un’occasione ufficiale che Pechino deve attivarsi per disarmare le sette isole artificiali che ha costruito nell’arcipelago delle Spratly, fatto che rappresenta da solo una “prima” per la politica americana verso la Cina che sino ad oggi è rimasta ancorata al diritto di navigazione e sorvolo di obamiana memoria.

Washington, durante le amministrazioni precedenti, non è mai stata incisiva infatti in merito alla vexata quaestio delle isole contese, e si è limitata sempre ad appellarsi al diritto internazionale lasciando i commenti in merito all’escalation militare cinese in quel tratto di mare a fonti non ufficiali.

Agli Stati Uniti manca ancora una strategia risolutiva

Il problema per Washington è appunto quello di non avere ancora stabilito una strategia che possa risolvere la questione senza creare uno scontro diretto con la Cina che si risolverebbe in un conflitto armato, non voluto da entrambe le parti.

La Casa Bianca, infatti, sta perseguendo nella politica di Obama di difesa del diritto internazionale ma, così come accaduto per l’amministrazione precedente, questa non sta avendo nessun risultato tangibile se non quello di aver rafforzato la presenza militare cinese nel Mar Cinese Meridionale, ormai considerato da Pechino come alla stregua di un “mare interno”.

I sorvoli di bombardieri B-52, le “incursioni” di naviglio militare leggero come può essere un cacciatorpediniere Arleigh Burke se paragonato a un incrociatore o addirittura a un gruppo di scorta di una portaerei, non sono affatto risolutive ed hanno come unico risultato quello di aumentare l’irritazione della Cina.

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Cina che dall’altro lato si comporta più amichevolmente con un solido alleato degli Stati Uniti, il Giappone, che è un importante partner commerciale per Pechino.

In un “incidente” simile a quello accaduto lo scorso settembre al caccia USS Decatur, sempre il Lanzhou ha intercettato il cacciatorpediniere tuttoponte nipponico Kaga che incrociava nel Mar Cinese Meridionale con un amichevole, e alquanto ironico, messaggio radio che recitava “Buongiorno, felici di vedervi”.

Il non accordo tra le due potenze

L’unico risultato tangibile dell’incontro al vertice di Washington è che Cina e Stati Uniti hanno convenuto che questo tipo di confronto sul piano militare, se limitato a queste modalità, stabilizza le tensioni tra i due Paesi e aiuta a prevenire un conflitto che nessuno dei due vuole.

Ma nonostante questo barlume di buona volontà entrambe le parti hanno dimostrato, durante i colloqui, che non c’è fiducia reciproca tanto che lo spazio per la cooperazione su altri fronti, come quello afghano o coreano, è stato relegato sbrigativamente in fondo all’agenda della giornata.

Una cosa però è certa: se gli Stati Uniti davvero hanno intenzione di far valere il diritto internazionale, non solo in merito alla libertà di navigazione, e di far sloggiare i cinesi dal Mar Cinese Meridionale come vorrebbero i loro alleati nell’area, il cambio di passo deve essere una priorità perché la storia recente ha dimostrato che qualche sorvolo di bombardiere e qualche puntata di unità navale non è affatto risolutiva.

Un cambio di passo che però è alquanto delicato perché, se effettuato bruscamente, come ad esempio avvenuto per la crisi coreana o per quanto sta avvenendo con l’Iran, potrebbe davvero portare ad un aperto conflitto con la Cina.

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