La Francia cerca sponde dall’altra parte dell’Atlantico. Emmanuel Macron sa che a Washington non è più apprezzato come un tempo. E l’ha dimostrato il pieno sostegno degli Stati Uniti all’Italia nei confronti della leadership sulla transizione libica.
L’incantesimo si è rotto
Qualcosa è cambiato rispetto ai primi mesi dell’amministrazione di Donald Trump. All’inizio sembrava che fra l’Eliseo e la Casa Bianca potesse sorgere una perfetta sinergia, visto che Macron voleva ergersi a nuovo leader dell’Unione europea e Trump colpire la leadership di Angela Merkel trovando un alleato tra le potenze internazionale.
Ma a questo primo idillio fra Parigi e Washington, si è contrapposta una vera e propria sfida fra i due presidenti, con Macron che ha sposato una linea fortemente critica nei confronti di The Donald promuovendosi come suo sfidante per la leadership mondiale. Contro il “Make America great again”, Macron ha contrapposto il “Make our planet great again”. E tra clima, progressismo e volontà di costruire un’Unione europea fondata su Parigi, l’idillio fra Casa Bianca ed Eliseo si è interrotto per far posto a un rapporto molto più complesso.
Complesso, ma non per questo di sfida. Perché non va dimenticato che, in tutto questo tempo, Macron ha voluto mantenere una linea sempre meno contraria alla politica estera di Trump, tanto da aver ad esempio dato pieno sostegno alla volontà di Washington di colpire in Siria e ha unito le forze speciali dell’esercito francese a quelle Usa di stanza a Manbij e Raqqa.
Parigi si schiera contro l’Iran
E nel tempo, si sono assottigliate anche le divergenze fra Francia e Stati Uniti sul fronte iraniano. Mentre prima Parigi aveva scelto una politica pienamente coerente con il suo tradizionale legame con Teheran, anche per fare in modo che le sue imprese tornassero a lavorare in Iran con commesse miliardarie, da qualche mese si è preferita una linea diversa. Le parole di ieri di Florence Parly contro i missili iraniani e l’influenza del Paese degli Ayatollah in Medio Oriente sono un segnale chiaro.
Parole che hanno manifestato il desiderio francese di cambiare posizione nei confronti del governo iraniano e che sono arrivate in concomitanza con il congelamento in Francia dei beni di due cittadini iraniani e del ministero dell’Intelligence, accusati di aver complottato per ordire un attentato contro il Consiglio nazionale della resistenza iraniana a Villepine, vicino Parigi.
Tutto questo avveniva mentre il segretario alla Difesa James Mattis era in visita a Parigi, dove ha incontrato la sua omologa francese. E in questo vertice, oltre all’Iran, si è parlato di un altro tema che sta particolarmente a cuore al governo Macron: il Sahel.
L’impegno in Sahel
La Francia ha da sempre l’obiettivo di mantenere il controllo dell’Africa occidentale. Lo ha fatto in questi anni a livello politico, economico, finanziario e anche militare: prova ne sono le innumerevoli missioni, di cui l’ultima, la Barkhane, vede Parigi impegnata con migliaia di uomini e mezzi.
Per questa campagna militare e politica, la Francia ha deciso di puntare tutto sulla formazione di una coalizione nota con G-5 Sahel, composta dai Paesi della regione guidati sostanzialmente dalle forze francesi. Un approccio diverso, nato per coinvolgere di più le truppe locali e meno quelle d’Oltralpe, ma che adesso ha bisogno di un alleato forte che garantisca il pieno controllo della regione. E Parigi ha scelto gli Stati Uniti.
Da quanto dichiarato da Parly, gli Stati Uniti aumenteranno “significativamente, rispetto a quanto inizialmente previsto”, il loro apporto alla forza del G5 Sahel nella guerra ai gruppi jihadisti. Un annuncio importante, che si inserisce nel quadro di un miglioramento delle relazioni militari fra Parigi e Washington, e che vede entrambe le potenze particolarmente interessate a migliorare la loro sinergia.
Il Pentagono ha trovato nei francesi un partner ideale per la sua politica strategica. E stessa cosa può dirsi della Difesa francese, che sa che può contare sugli americani per aumentare la sua presenza militare nel mondo e soprattutto per sconfiggere i suoi rivali.
I rivali della Francia in Africa
La Francia in Africa ha due rivali, estremamente diversi fra loro ma che si intrecciano con gli interessi degli Stati Uniti: Cina e Italia. La prima, nemica di Washington; la seconda alleata degli Stati Uniti e con un governo in perfetta sintonia con Donald Trump. Per quanto riguarda la Cina, Macron ha deciso di intraprendere una battaglia contro l’influenza di Pechino, che sta crescendo a tal punto da compromettere la storica leadership di Parigi nel continente.
I piani di investimento cinesi, uniti a una lenta penetrazione politica e militare, stanno mettendo in serio pericolo la potenza francese nel continente africano. E questa crescita del potere asiatico mette in allarme gli Stati Uniti, preoccupati dalla conquista dell’Africa da parte del dragone. Per questo motivo, al Pentagono sanno che combattere lo jihadismo in Sahel aiuterà anche a porre dei limiti all’avanzata della Cina.
Per quanto riguarda l’Italia, la questione è diversa. Chiaramente Roma non è Pechino. E la forza dilagante cinese non può essere messa paragone con le capacità italiane. Tuttavia non è un mistero che l’asse fra Trump e il governo Conte non sia particolarmente apprezzato da Macron. E quest’unione d’intenti fra Roma e Washington si è resa evidente in Libia, con la cabina di regia congiunta ideata da Conte e Trump durante il vertice della Casa Bianca. E ora l’Italia sta diventando una spina nel fianco per i francesi.
La Francia vuole fare in modo che gli Stati Uniti abbraccino una linea più vicina alle proprie idee. E per farlo, stanno concedendo molto in termini politici: a cominciare per esempio dalla forte presa di posizione contro l’Iran. Il fatto che in queste ore sia arrivato l’annuncio di un maggiore impegno americano in Sahel è un segnale chiaro: in Africa si stanno ricucendo i rapporti fra le due potenze. Ed è un campanello d’allarme da non sottovalutare.