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Macron ha subito una battuta d’arresto nelle elezioni suppletive per il senato. Oggi, infatti, si votava per le senatoriali, una competizione elettorale finalizzata al rinnovo della metà dei senatori.

En Marche!, dopo aver trionfato sia alle presidenziali sia alle legislative, ha raccolto molto meno di quanto ci si aspettava. Se molte previsioni, infatti, assegnavano al movimento guidato da Macron una settantina di seggi, quelli reali sono risultati essere meno di trenta.  

Nello specifico, dei 171 seggi da rinnovare, a Macron ne sono spettati solo 24. Il sistema elettorale francese, sarà bene specificare, prevede che per il senato votino dei “grandi elettori”, eletti durante le amministrative, che in Francia si sono tenute nel 2014, cioè quando la formazione di Macron non era ancora comparsa sulla scheda elettorale. Ma il dato fuoriuscito dalla competizione rimane di gran lunga significativo: con un numero così risicato di senatori, per Macron diviene praticamente impossibile far approvare la riforma costituzionale annunciata. O almeno molto complicato.

La maggioranza prevista dei 3/5 del totale dei membri riuniti in seduta comune dovrà, in caso, poggiarsi su alleanze trasversali o sul sostegno di parlamentari indipendenti, ma restano entrambe soluzioni complesse da declinare sul piano pratico. Un’elezione a suffragio indiretto, insomma, mina seriamente le possibilità di manovra del presidente della Repubblica francese.

Come si spiega il mancato sostegno da parte dei “grandi elettori”? Uno dei fattori per cui Macron è molto calato nei sondaggi nell’ultimo periodo, è il taglio lineare ai finanziamenti per gli enti locali. Provenendo i “grandi elettori” da questi stessi enti, diviene più semplice comprendere alcune ragioni dell’esito del voto. Le altre sono rintracciabili nel fatto che le elezioni amministrative del 2014 vennero vinte dai Repubblicani, la forza politica uscita meglio da queste senatoriali, avendo raggiunto la quota di 148 seggi totali. Quindi molti “grandi elettori” sono membri di un partito all’opposizione di Macron.

La tenuta del governo, però, non è in discussione: il senato non partecipa al voto di fiducia sull’esecutivo. Edouard Philippe può dunque dormire sonni tranquilli. L’unico effetto considerevole di queste elezioni è il possibile blocco al riformismo di Macron. Gli altri dati emersi, come prevedibile, dicono politicamente poco: il Front National conquista due seggi, il Partito socialista, dopo le due ultime debacles, riesce ad evitare di sprofondare, arrivando ad una quota totale di senatori pari a 72. La partita, quindi, si è drasticamente complicata e la strada per le riforme costituzionali che Macron ha decantato in campagna elettorale è diventata tutta in salita.

Resta in auge l’ipotesi per cui, dopo una doppia lettura e seguente approvazione delle Camere, la riforma costituzionale venga approvata mediante un referendum popolare. A questo intoppo si aggiunga che i sondaggi denotano l’esistenza di una delusione sempre maggiore dei francesi rispetto all’operato di quello che sarebbe dovuto essere un vero e proprio enfant prodige della politica d’oltralpe, specie in funzione della propagandata rivoluzione legislativa. Rivoluzione che, almeno in parte, non dovrebbe più poter avvenire. 

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