Jean-Luc Mélenchon si è confermato e migliorato a cinque anni di distanza dalle presidenziali del 2017, in cui il suo risultato lo aveva portato ad essere il quarto candidato più votato di Francia: nel voto di domenica il tribuno della Sinistra radicale si è classificato terzo alle elezioni presidenziali dopo Emmanuel Macron e Marine Le Pen, sfiorando l’accesso al ballottaggio al termine di una rimonta considerevole che lo ha portato a ricompattare la Gauche alle sue spalle. 7,6 milioni di voti e il 21,95% dei consensi, una crescita di 600mila preferenze e una rimonta nell’ultimo mese non sono stati sufficienti a portarlo al ballottaggio, ma hanno indubbiamente un peso differente rispetto al risultato del 2017.
Allora Mélenechon appariva il portavoce di una sinistra più tradizionale, un catalizzatore dei voti di un Partito Socialista in caduta libera forte del suo ascendente personale ma privo di una vera struttura partitica alle sue spalle. La France Insoumise, la sua creatura di sinistra, raccolse infatti consensi residuali all’Assemblea Nazionale e buona parte dei consensi rientrarono sull’alveo tradizionale del centro-sinistra o addirittura finirono al partito di Macron, La Republique En Marche, nel ballottaggio e nel voto parlamentare. Oggi la situazione è differente: tramontata la Gauche tradizionale, Mélenchon si è rafforzato con la traversata del deserto dell’era dei Gillet Gialli, ha superato una sconfitta alle elezioni europee del 2019, ha voluto catalizzare un elettorato più liquido ma, paradossalmente, più facilmente mobilitabile. Nella sua visione del mondo, infatti, oggi predominano sostanzialmente tre retoriche: un appello a giovani, studenti e progressisti vecchio stampo, attratti dal trittico formato da ambientalismo, diritti civili e prospettive economiche di rilancio; elettori non ideologizzati ma preoccupati da carovita, inflazione e scollamento tra centro e periferie; elettori delle periferie urbane ed esistenziali del Paese, come testimoniato dalla supremazia di Mélenchon in contesti come la Guyana e le residue componenti dell’impero coloniale francese trasformate in dipartimenti d’oltremare.
Ora la grande partita è capire come si indirizzerà l’elettorato di Mélenchon al secondo turno. Il candidato-guida della sinistra non ha dato un’esplicita indicazione di voto al presidente uscente, sottolineando però che “nessun voto deve andare all’estrema destra”. “Il duello Macron-Le Pen si annuncia serrato”, scrive Le Figaro, all’indomani del primo turno delle elezioni presidenziali, evidenziando come il popolo di Mélenchon sarà l’arbitro del ballottaggio che si terrà domenica 24 aprile. Il giornale evidenzia che i primi sondaggi realizzati dopo i risultati del primo turno danno Macron vincitore, ma di poco, ovvero con una forchetta compresa fra il 51 e il 54%. Stessa visione per Le Monde, sottolineando che dietro di fronte a un Macron che non è riuscito ancora a completare il fronte repubblicano contro una Le Pen sfidante più ostica rispetto al 2017 “si trova il caos politico”. Dovuto proprio al fatto che molti voti per Mélenchon saranno in libera uscita. Molti dei partiti a cui il tribuno della sinistra radicale ha strappato voti, dal verde Jaddot alla socialista Hidalgo, hanno dato un endorsement esplicito, Mélenchon non ancora complice il fatto che per il ballottaggio la sua base elettorale è divisa.
“Mélenchon”, nota Affari Italiani, parla “a un elettorato per certi versi simile a quello di Le Pen” che agli elettori tradizionalmente di sinistra e ai giovani universitari somma “persone arrabbiate per la presidenza Macron e con attenzione al tema del potere d’acquisto. Elettori che potrebbero intravedere continuità proprio con Le Pen, più che con Macron, in vista del secondo turno”, tanto che un terzo dei voti di Mélenchon potrebbero indirizzarsi proprio sulla leader sovranista. Cosa non accaduta nel 2017. Non a caso “nei suoi comizi, Melenchon si è sovente rivolto in modo dialogante agli elettori di estrema destra, definiti arrabbiati ma non fascisti”. A queste parole Le Pen ha strizzato l’occhio parlando al suo elettorato e sperando di unire le forze con una quota dei votanti del rivale di sinistra, sottolineando che il ballottaggio del 24 “sarà una scelta di società e anche di civiltà, una scelta tra due visione opposte del paese: o la divisione e il disordine, o il raduno intorno alla giustizia sociale”.
La sfida per il trono repubblicano di Francia è aperto. E a deciderla sarà più la somma di decisioni individuali di votanti di Mélenchon che la somma di elettori di altri schieramenti, già ben incanalati: appare difficile immaginare voti travasati da Eric Zemmour a Macron o voti di Valerie Pécresse e Anne Hidalgo che passino su Macron. La grande incognita si chiama Mélenchon. Il quale si chiama fuori, critica Le Pen ma senza dare assist a Macron, mantenendo un obiettivo chiaro: costringere gli altri partiti di sinistra a sostenerlo alle elezioni parlamentari di maggio, imporre a un Macron che ritiene vincitore designaot quantomeno un pareggio e portarlo alla coabitazione di governo. Una sfida per la quale è disposto a vedere anche emergere una presidenza Le Pen non dando assist espliciti all’inquilino dell’Eliseo. E che rispetto al 2017 guarda più in prospettiva, alla creazione di un’alternativa politica di sistema.