Quando nel 2017, in pochi mesi, Emmanuel Macron emerse come fenomeno politico di rottura in Francia la sua creatura politica, La Republique En Marche!, si impose rapidamente come partito centrale negli equilibri politici dell’Esagono. Conquistata a valanga la presidenza della Repubblica nel ballottaggio con Marine Le Pen, Macron vide il suo partito ottenere la maggioranza assoluta all’Assemblea Nazionale con 314 seggi su 577. Ora, dopo una graduale emorragia durata tre anni, En Marche non ha più la maggioranza assoluta a causa della continua fuoriuscita di suoi membri critici, da destra o da sinistra, dell’eccessivo equilibrismo sul centro liberale della creatura macroniana.

La debolezza politica dell’esecutivo francese di Edouard Philippe, ora costretto a dipendere dai voti dei 46 parlamentari di MoDem di François Bayrou, che ora diventano indispensabili nell’economia dell’esecutivo, segnala il graduale deterioramento della posizione politica dell’Eliseo. Macron è sotto attacco per un’ampia serie di motivazioni.

La prima fronda è stata quella del super-ministro Nicolas Hulot, con la delega all’Ambiente e alla trasformazione economica, che ha lasciato nel 2018 fondando un gruppo autonomo ambientalista al Parlamento e cannoneggiando a più riprese l’esecutivo.

Ha seguito, poi, la critica dell’ala sinistra del partito, da cui sono fuoriuscite figure come  come Aurélien Taché o Cédric Villani e l’ex ministro socialista dell’Ecologia Delphine Batho. Troppo grande la distanza da uomini di centro e centro-destra oramai centrali nel sistema macroniano come Bruno Le Maire, ministro dell’Economia rivelatosi tra le figure più abili dell’esecutivo.

A queste fibrillazioni si sommano ora le debolezze del governo nella gestione della crisi del coronavirus e gli sviluppi politici europei, che portano a fibrillazioni sia dentro che fuori il perimetro dei sostenitori macroniani.

Poco più di un terzo dei francesi, solo il 35% dei francesi, secondo quanto riporta l’Express, approva l’operato del governo nella gestione della pandemia più grave che si sia manifestata in Francia nell’ultimo secolo e che ha consegnato un conto fra i più salati nel Vecchio Continente, con oltre 28.000 morti. La pandemia ha fatto venire inoltre in primo piano la questione della ripresa economica, con la Francia che rischia una recessione in doppia cifra, messo in soffitta la discussa riforma delle pensioni, fatto emergere la discrepanza sociale ed economica tra centro e periferia già manifestatasi attraverso il fenomeno dei “gilet gialli” e aperto lo scontro, anche retorico, tra premier e Presidente, con il primo che ha recentemente parlato di “rischio di collasso economico” per la Francia mentre Macron, invece, ha preferito celebrare la “nazione forte” che tiene botta di fronte alla pandemia.

Anche le manovre di Parigi in campo europeo hanno destato, in patria, forti critiche, ridestando l’opposizione di destra e di sinistra. Nell’ordine, i sovranisti del Rassemblement National di Marine Le Pen hanno bocciato l’accordo Merkel-Macron sul Recovery Fund; il leader della Sinistra radicale Jean-Luc Mélenchon ha definito il presidente il “porta-asciugamano” di Angela Merkel; i verdi di Eelv, terzo partito alle ultime europee, hanno definito la proposta franco-tedesca “insufficiente”.

L’assedio a Macron è sempre più stretto e solo la natura “regale” del potere presidenziale francese per ora preserva l’Eliseo, mentre per il governo Philippe il capolinea appare vicino: il premier ed ex sindaco della cittadina di Le Havre potrebbe uscire di scena in un rimpasto di giugno con cui Macron potrebbe provare a allargare la compagine governativa a Verdi, socialisti o gollisti. I nomi per figure potenzialmente in grado di prender parte a questo esecutivo, sottolinea Il Foglio, si sprecano: vi è chi parlarla dell’ex direttore del Fondo monetario internazionale Dominique Strauss-Kahn, dell’ex premier Manuel Valls, e addirittura di un redivivo Nicolas Sarkozy. Fantapolitica, per ora, ma qualcosa indubbiamente si muove: “sette francesi su dieci, secondo un sondaggio Ifop, si sono detti favorevoli a un governo di salute pubblica”, ritenendo l’attuale architettura di sistema insufficiente a tenere botta di fronte a una crisi senza precedente. Macron, se costretto a una mossa del genere, si vedrebbe fortemente ridimensionato: e le stesse speranze di rielezione nel 2022 si ridurrebbero notevolmente.

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