Presentate come elezioni della svolta, le prime a livello amministrativo e locale dal 2011, la Tunisia mostra in realtà molto meno affetto verso questo “nuovo” pluralismo di quanto, a guardare le immagini della “rivoluzione del gelsomino”, si possa pensare. Il voto di domenica era importante per due motivi: da un lato, segnava la svolta verso quel decentramento amministrativo tanto atteso durante i mesi di protesta contro Ben Alì, dall’altro era importante valutare risultati elettorali e di affluenza. Ma se da un punto di vista organizzativo tutto è filato liscio, con pochi disordini e nessuna tensione particolare durante il voto, dall’altro il 34% complessivo di affluenza denota più di un campanello d’allarme per il piccolo Stato arabo a noi dirimpettaio.
Urne rimaste deserte
Eppure alla vigilia è andato in onda un vero e proprio “spot” propagandistico, volto a promuovere la giovane democrazia tunisina: tanti candidati, diversi partiti pronti a darsi battaglia alle urne, una percentuale di donne candidate vicina al 50%. In poche parole, si è provato da più parti a presentare la Tunisia come un vero e proprio modello di democrazia multipartitica, un paese giunto quasi al termine della sua breve ma intensa transizione post Ben Alì. Ma in realtà tutto, per l’appunto, è rimasto solo nella propaganda: i dati parlano di un’astensione vicina al 67%, che ha coinvolto sia le zone urbane che rurali e che vede i due terzi dell’elettorato rimasto sostanzialmente a casa durante le operazioni di voto. La disaffezione dei tunisini verso la propria classe politica è nota, ma non si credeva essere arrivata fino a questo livello: governo e presidente puntavano sulla novità delle consultazioni elettorali locali per sperare in un’affluenza di almeno il 50%, ma la Tunisia ha espresso con l’allontanamento dalle urne il proprio disagio.
Del resto, il paese è in grave crisi economica e sociale e non è un caso che sono stati soprattutto i giovani a disertare le urne. Una disoccupazione che in alcune province sfora il 40%, un costo della vita sempre più caro, unite a misure governative di austerità per via dei debiti e dei programmi economici imposti dall’Fmi, sono questi elementi questi che rischiano di far da detonatore in una società allo stremo, scesa in piazza a gennaio proprio per chiedere lo stop di programmi che hanno chiesto ai cittadini maggiori sacrifici. Tutto ciò purtroppo ben si coniuga anche con il rischio terrorismo: la Tunisia è il paese con il maggior numero di foreign fighters che hanno raggiunto le file del califfato, la crisi economica e le difficili condizioni di vita di certe regioni facilitano in diversi casi il reclutamento ad opera di gruppi jihadisti.
I primi risultati
Intanto dalle urne escono anche i primi importanti responsi. Della miriade di liste presentate, in realtà sono soltanto due i partiti che hanno avuto la forza di poter concorrere in tutto il paese: si tratta, in particolare, dell’islamista Ennhadha e del laico Nidaa Tounes, a cui appartiene il presidente Essebsi. Secondo i primi dati raccolti, il primo sarebbe in testa con complessivamente il 27.5% dei consensi, mentre la formazione del capo dello Stato sarebbe ferma al 22.5%. I dati sono però da prendere con le dovute cautele, sia perché il conteggio dei voti finirà soltanto nella giornata di mercoledì e sia perché, soprattutto, almeno il 28% dei voti è stato disperso tra candidati locali e liste indipendenti. Per capire la reale forza dei due principali partiti, che guidano un esecutivo di unità, bisogna dunque aspettare soltanto i prossimi giorni.
Un dato però che sta facendo discutere, arriva dalla capitale: il nuovo sindaco di Tunisi è infatti una donna. Saud Ibrahim, questo il suo nome, di professione farmacista e decisa a scendere in politica dopo il 2011, ha ricevuto il 33% dei consensi precedendo gli altri nove candidati. Per Tunisi è la prima volta di una donna come primo cittadino, circostanza che arriva con una candidata proprio del partito più conservatore, ossia per l’appunto l’islamista Ennhadha.