L’Ue sta per affrontare la più grande sfida della sua storia. A maggio, i cittadini di tutta l’Unione andranno alle urne per votare il rinnovo del Parlamento europeo. E l’Europa sembra destinata ad affrontare un altro terremoto politico.
Le elezioni arrivano in quello che è già un momento di fragilità per l’Ue: si terranno durante la Brexit, che rappresenta la prima volta in cui l’Unione europea si contrae invece di espandersi. Inoltre, le elezioni coincidono con intense discussioni che riguardano temi su cui l’Ue ha faticato (o per meglio dire fallito) a trovare una risposta. Tra queste le ansie riguardanti l’immigrazione, le frontiere, la sicurezza, il senso di appartenenza e le disuguaglianze economiche. Il periodo elettorale arriva anche sullo sfondo di un populismo risorgente, con movimenti come la Lega in Italia e i gilet gialli in Francia che attirano una notevole simpatia da parte del pubblico. In definitiva, il futuro dell’Ue non è mai stato così incerto.
È invece praticamente certo che le elezioni saranno un ulteriore colpo per i partiti tradizionali. Per la prima volta, i due gruppi principali potrebbero non ottenere la maggioranza dei seggi. Gli ultimi sondaggi mostrano che il Partito popolare europeo e l’Alleanza progressista dei Socialisti e dei Democratici potrebbero vedere la loro quota di seggi scendere dal 54% di oggi ad appena il 44%. Ciò è dovuto al modo in cui la politica europea tradizionale viene sfidata con sempre maggior forza da una serie di partiti populisti che sostengono che l’Ue debba essere riformata se vuole rimanere rilevante e sopravvivere.

Rispetto a cinque anni fa, sono previsti aumenti in termini di voti per partiti come la Lega e il Movimento 5 Stelle in Italia, l’AfD in Germania, i Democratici Svedesi, il Partito Conservatore del popolo estone, Vox in Spagna, Diritto e giustizia in Polonia e Živi zid in Croazia. Mentre Nigel Farage e lo Ukip, che hanno svolto un ruolo decisivo per il voto in favore della Brexit, molto probabilmente non potranno partecipare a queste elezioni, i sondaggi indicano un’altra serie di risultati positivi per il partito di Marine Le Pen in Francia, il Partito della libertà in Austria e il movimento di Viktor Orban in Ungheria. In altre parole, il populismo non sta scomparendo, sembra invece sempre più radicato.
Un gran numero di sostenitori dei partiti populisti ha meno di 40 anni
Molti liberal in Europa sostengono che si tratti di «vecchi bianchi arrabbiati» che presto moriranno. Ma un gran numero di sostenitori dei partiti populisti ha meno di 40 anni, come nel caso dell’Italia, dove la Lega ottiene consensi distribuiti in maniera abbastanza equa tra persone appartenenti a generazioni diverse. Questa realtà non è solamente un sottoprodotto della crisi finanziaria: quasi vent’anni di ricerche hanno infatti dimostrato che i movimenti che sfidano l’Europa liberale sono radicati principalmente nelle ansie relative a un cambiamento di tipo sociale e culturale, non soltanto economico.
In contrasto con certe argomentazioni un tempo molto di moda – che sostenevano che dopo la Brexit e l’elezione di Donald Trump l’Ue aveva respinto il populismo – Bruxelles è ora preparata per la più forte ondata populista mai registrata. In effetti, è indicativo il fatto che mentre un anno fa la copertina di Time presentava un Emmanuel Macron sorridente, nel 2018 c’era invece l’italiano Matteo Salvini. Un decennio fa, questi exploit populisti sembravano un’eccezione alla regola. Oggi invece sono del tutto normali.
I populisti non saranno i soli vincitori. Anche altri sfidanti otterranno buoni risultati. L’ascesa di movimenti come i Verdi in Germania, Ciudadanos in Spagna e la probabile crescita elettorale di alcuni partiti di estrema sinistra mostrano come le principali ideologie che hanno governato gran parte dell’era post-bellica siano sotto attacco da tutti i fronti. Questi cambiamenti rivelano come la politica europea sia sempre più polarizzata e frammentata poiché un numero sempre maggiori di partiti ideologicamente distinti competono per il potere. È improbabile che l’Europa possa presto assistere a un ritorno di governi forti, stabili e ideologicamente coerenti. E questo, a sua volta, renderà più difficile per l’Ue attrarre investitori, preoccupati per la volatilità e l’instabilità politica che stanno colpendo le società europee. Questa situazione potrebbe facilmente diventare un circolo vizioso a cui pochi politici sembrano poter dare risposta.
La sfida dei populisti ha radici profonde
Ciò che sta accadendo al giorno d’oggi ci dice che non è più plausibile sostenere che il populismo sia solo un “fuoco di paglia” di breve durata. Per gran parte degli ultimi dieci anni, ci è stato detto che le sfide che l’Ue sta affrontando sono solamente un sottoprodotto della crisi finanziaria post 2008 e di quella del debito sovrano dell’Europa. Ma tutto ciò è incredibilmente fuorviante. Come spieghiamo nel nostro libro National Populism: The Revolt Against Liberal Democracy, le radici della sfida populista sono molto più profonde e ci accompagneranno per molti anni. Forse addirittura per decenni. Esse sono infatti radicate in un profondo senso di ansia provato dalla gente comune a causa del ritmo e dalla portata dell’immigrazione, dalle élite politiche sempre più distanti dalla realtà e da forti preoccupazioni conseguenti alla perdita di dignità, riconoscimento e voce nelle questioni politiche. Tutto questo provoca l’indebolimento delle relazioni tra i principali partiti e gli elettori.
Guardate i sondaggi che chiedono agli elettori di citare le questioni più importanti che l’Unione europea deve affrontare oggi: gli elettori ora dicono immigrazione e terrorismo, mentre l’economia si deve accontentare di un lontano terzo posto. L’anno scorso, i dati della Commissione europea hanno rivelato che l’immigrazione, per il quarto anno consecutivo, dominava l’elenco delle preoccupazioni in 22 dei 28 Paesi dell’Ue, Paesi che presto diventeranno 27. Le persone vogliono parlare di identità nazionale e sicurezza, non solo di posti di lavoro e salari. E questo la sinistra non l’ha capito.
Sicuramente, le preoccupazioni per i confini, la sicurezza, l’immigrazione e la capacità dell’islam di integrarsi in Europa stanno già producendo i loro effetti. Recenti ricerche effettuate da politologi mostrano che l’aumento del populismo sta già avendo un impatto concreto, portando a politiche più restrittive su questioni come l’immigrazione e l’integrazione. È inoltre rivelatore il fatto che anche i partiti di sinistra stiano rivedendo le loro posizioni, mettendo in dubbio la scelta di appoggiare l’immigrazione di lavoratori non qualificati.
Questi cambiamenti sono alimentati anche da un profondo sentimento, condiviso da un gran numero di elettori, secondo cui l’Unione europea non è abbastanza democratica: la “voce del popolo” viene semplicemente ignorata e dimenticata. Alcuni osservatori fanno presente che, dopo la Brexit, in altri Paesi al di fuori del Regno Unito la volontà di rimanere nell’Unione abbia raggiunto il massimo livello da 35 anni a questa parte. Questo potrebbe essere vero ma, allo stesso tempo, quasi la metà delle persone nell’Ue non si identifica nell’affermazione “la mia voce conta all’interno dell’Unione europea”. La convinzione che l’opinione degli elettori non venga presa in considerazione è particolarmente evidente in Stati come l’Italia, dove due votanti su tre non sono d’accordo sul fatto che la loro voce conti qualcosa. Numerose persone sostengono l’Ue in linea di principio, ma molti non si sentono ascoltati. E questo è un grave rischio per l’Europa. Come abbiamo scoperto nel Regno Unito – dove il fattore scatenante del voto pro Brexit è stato un potente cocktail di sentimenti anti immigrazione, anti Westminster e anti Ue – non si dovrebbe mai sottovalutare la possibilità di ripercussioni dovute alle proprie scelte politiche.

Questo è il motivo per cui ci sono buone ragioni per essere scettici sul futuro dell’Unione europea: a meno che non faccia riforme serie, e riesca a contenere la reazione populista, l’Ue potrebbe essere costretta a ridursi ulteriormente e a rivalutare sostanzialmente le sue ambizioni a lungo termine. Il futuro clima economico giocherà un ruolo importante. La produttività e la competitività in Europa rimangono deboli mentre aumentano le disuguaglianze, specialmente nell’Europa meridionale. I lavoratori in Italia hanno buone ragioni per sentirsi esclusi dagli accordi economici. Negli ultimi anni, tra le democrazie più avanzate la quota di reddito nazionale destinata ai lavoratori è stata inferiore a quella degli anni Settanta. Nel frattempo, Stati come l’Italia sono alle prese con un rapporto debito/Pil pari al 130%, banche deboli e disuguaglianze molto più alte rispetto agli Stati più a nord. Dato che gran parte dell’Europa dovrebbe subire un ulteriore rallentamento della crescita nei prossimi anni, soprattutto a causa della frenata dell’economia cinese, sembra probabile che questi problemi, invece di svanire, diventeranno sempre più grandi.
L’Europa, inoltre, sta invecchiando: i tassi medi di natalità in tutta l’Ue sono scesi da 2,6 nascite per donna nel 1960 all’1,6 di oggi. In modo alquanto ironico, gli stessi Stati la cui popolazione dovrebbe diminuire maggiormente entro il 2050 (Bulgaria, Lituania, Ungheria e Polonia) sono quelli più contrari all’immigrazione. Anche gli Stati dell’Ue con la natalità più alta (Francia e Svezia) sono lontani dal «livello di reintegro» necessario per evitare una contrazione della popolazione. Queste cifre contrastano con quelle del Medio Oriente e dell’Africa: il 65% della popolazione del Medio Oriente ha meno di 30 anni e il numero di giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni in Africa raddoppierà in soli tre decenni. I cambiamenti demografici a cui abbiamo assistito nel 2014-15 sono solo l’inizio di una sfida a lungo termine per l’Ue.
Chiaramente, molte persone della classe media liberal non saranno disturbate da questi mutamenti, ma molte altre si sentiranno profondamente allarmate. Recentemente, il Pew Research Center ha rilevato che solo il 10% della popolazione dell’Ue desidera più immigrazione, mentre il 51% ne vuole di meno o desidera non averne del tutto (questo valore schizza oltre il 70% in Italia). Solo uno stolto affermerebbe che questi problemi, che avvantaggiano i populisti, spariranno nel nulla.
Il populismo non solo rimarrà una caratteristica permanente nel panorama politico europeo, ma questa primavera affonderà le sue radici ancora più in profondità. La domanda è: come risponderà l’Unione europea?
Foto di apertura di Vincenzo Metodo, Regno Unito, Londra, 2016