La verità è la prima vittima della guerra: e in Libia il copione non è certo diverso. L’avanzata di Khalifa Haftar verso Tripoli, cui ha reagito l’aviazione del governo riconosciuto e una parte delle milizie contrarie al generale della Cirenaica, ha avuto come reazione quello dello “sconcerto” da parte della comunità internazionale. Condanne da parte di tutti, mosse “improvvise” da parte dei reparti speciali americani, alleati internazionali del maresciallo che si mostrano quasi sgomenti di fronte a un’azione unilaterale e violenta delle forze dell’Esercito nazionale libico.

Ma la realtà non può che essere diversa da quella che viene detta da parte dei governi. Gli annunci di sorpresa, le richieste di fermare l’avanzata, la volontà di mostrarsi totalmente favorevoli al dialogo fra le parti e alla transizione voluta dalle Nazioni Unite sono tutti modi per coprire una verità diversa sulla Libia. Perché quella che si sta svolgendo non è un’azione improvvisa di un generale che decide sua sponte di avanzare verso la capitale. È evidentemente il frutto di una concertazione fra lui e i suoi maggiori sponsor internazionali, che, in questi anni, hanno fatto capire di non essere in grado di assumere realmente il comando della guerra in Libia. E Haftar, con le sue forze, è l’unico comandante sul campo in grado di prendere il sopravvento sulle altre fazioni e su un governo riconosciuto ma debole, che non controlla nemmeno la sua capitale.

Partendo da questa premessa è chiaro che una prima “non verità” è quella della Francia, che finge di non sapere che quella in corso è un’operazione che senza il via libera di Parigi non sarebbe mai potuta avvenire. Emmanuel Macron aveva chiesto di andare a elezioni a dicembre del 2018 ma era stato fermato dal piano Onu e dalla fragile quanto importante vittoria italiana della (pur velleitaria) conferenza di Palermo. In quell’occasione, Parigi diede un timido e poco entusiasta assenso alla strategia internazionale. Tanto sapeva che Haftar non avrebbe agito soltanto coordinandosi con il Palazzo di Vetro, ma soprattutto con i suoi sponsor: Egitto, Emirati e Francia. E con l’avallo dei sauditi. E in questi giorni sta avvenendo lo stesso. l’Enl non può agire senza che le potenze ad esso collegate lo coadiuvino.

Perché quella in Libia non è affatto, o meglio, non è esclusivamente, una guerra civile. È prima di tutto una guerra internazionale, un laboratorio che vede coinvolte tutte le potenze del Mediterraneo allargato e quelle che, pur non facendone parte, ne influenzano i destini. Ci sono gli Stati Uniti, che per anni hanno quasi taciuto la loro presenza fisica sul terreno pur attivandosi con raid chirurgici sulle fazioni dell’Isis presenti sul territorio libico e con operazioni delle forze speciali. C’è la Russia, che ha negato da sempre di essere sul campo, ma che invece ha per molto tempo influenzato la guerra in particolare con la sponsorizzazione del generale Haftar, di cui si ricordano i viaggi a Mosca e i suoi contatti con i funzionari russi per avere il sostegno del Cremlino alle forze della Cirenaica. Ed è impossibile credere, anche in questo caso, che l’intelligence russa e anche quella americana fossero ignare della decisione del Maresciallo di non prendere la decisione di avanzare su Tripoli. Anzi, la “fuga” dei marines dalle coste libiche è un’immagine del tutto superficiale. Africom, il comando Usa per il continente, non poteva non essere consapevole dei rischi. Tanto è vero che anche la nostra intelligence si era allertata per quanto stesse per accadere nel Paese.

Ed ecco l’altra verità non detta: la nostra. Che è quella di un Paese che ha raccontato a se stesso di poter fare da solo in Libia. L’Italia sembra sorpresa da quanto avvenuto a sud di Tripoli. Ma la realtà è che siamo di fronte a un caos in parte ottenuto anche grazie ai nostri errori errori strategici. L’Italia mente a se stessa pensando di avere il controllo della situazione: non lo ha più. Lo avrebbe avuto, ma ha preferito puntare su una stranissima politica del doppio forno che di fatto aveva senso solo nell’equilibrio delle forze in campo: ma adesso, con Haftar alle porte di Tripoli, è del tutto evidente che abbiamo sbagliato strategia. E l’abbandono da parte degli Stati Uniti di Donald Trump è un segnale chiarissimo: quella cabina di regia sul Mediterraneo allargato rischia di essere naufragata.