Il dibattito dell’Europarlamento sulla messa in stato d’accusa dell’Ungheria di Viktor Orban per violazione dei diritti fondamentali dell’Ue sulla base dell’Articolo 7 del Trattato comunitario non ha solo spaccato la già precaria formazione conservatrice di Bruxelles, il Partito Popolare Europeo (Ppe), ma ha anche segnalato tutta l’incertezza che regna nel continente in vista delle elezioni per il rinnovo del parlamento del prossimo maggio, percepite ovunque come decisive.

L’Europa, scrive Lorenzo Vita, “si spacca non solo fra sovranisti e progressisti o fra destre e sinistre, ma anche all’interno degli stessi blocchi, che si trovano molto più divisi di quello che sembrava nei mesi precedenti. Orban si dimostra ancora una volta un leader di rottura. Ma questa volta, la frattura sembra essere molto più complessa di quella cui eravamo abituati. E rischiano di scontrarsi anche i governi che rientrano, in senso lato, nell’area euro-scettica”.





Uno scontro che attraversa i confini del Ppe

Il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, ad esempio, è entrato a gamba tesa contro il vicino ungherese, annunciando un voto contrario alle posizioni dell’Ungheria, sottolineando come non intenda “fare compromessi sullo stato di diritto”. Kurz, formalmente, è alleato di Orban nel Ppe, ma si trova su questo punto di vista sul fronte opposto dell’alleato di governo di estrema destra, il leader dell’Fpo Heinz-Christian Strache, che propone invece un fronte comune con il leader ungherese al di fuori dell’area del Ppe.

Situazione ancora più confusa in Italia: la Lega di Matteo Salvini, alleato stretto dei Paesi del gruppo Visegrad nonostante tutte le differenze tra questi e l’Italia, è saldamente al fianco di Orban, e la Lega ha convinto Forza Italia e Fratelli d’Italia a seguirla sulla sua posizione, mentre al contrario gli alleati di governo del Movimento Cinque Stelle hanno annunciato, come riporta il Fatto Quotidianodi volersi unire al fronte anti-Orban.

Messo alle strette dal rischio che una fetta consistente del Ppe censuri l’operato del suo partito Fidesz, Orban è passato al contrattacco nel suo intervento di fronte ai deputati di Strasburgo: “Non condannerete un governo, ma l’Ungheria che da mille anni è membro della famiglia europea. Sono qui per difendere la mia patria. L’Ungheria sarà condannata perché ha deciso che non sarà patria di immigrazione. Ma noi non accetteremo minacce e ricatti delle forze pro-immigrazione: difenderemo le nostre frontiere, fermeremo l’immigrazione clandestina anche contro di voi, se necessario”. Parole che segnalano un fatto importante: la campagna elettorale per le europee è già iniziata e Orban ha voluto dare, metaforicamente, il “calcio d’inizio”.

Non sarà Macron contro Orban e Salvini

La contesa interna al Ppe sull’Ungheria segnala come la mediatica ma poco realistica riproposizione di un voto europeo destinato a risolversi in un ballottaggio tra il fronte “aperturista” facente capo a Emmanuel Macron e quello “sovranista” guidato da Salvini e Orban non corrisponda alla reale condizione politica europea.

Come segnalato da Giulio Sapelli su Il Sussidiario, il fronte degli alleati di Macron è per ora ristretto e poco omogeneo: “Stefan Löfven, primo ministro socialdemocratico svedese), Charles Michel (primo ministro liberale belga), Donald Tusk, conservatore presidente del Consiglio europeo nominato contro il parere del governo polacco, Pedro Sanchez, primo ministro socialista spagnolo, Alexis Tsipras, primo ministro greco della sinistra radicale”. Una congregazione che difficilmente potrebbe saldarsi in un blocco elettorale unico.

Con Orban, invece si posizionerebbero invece “Jimmie Akesson dell’estrema destra svedese, Geert Wilders olandese soprattutto Jaroslaw Kaczynski dell’ultraconservatore Pis polacco; spiccano naturalmente Marine le Pen e Alice Weidel presidente dell’Afd al Bundestag, in compagnia di Heinz-Christian Strache”.

Elettoralmente, per ora, Matteo Salvini sta a metà del guado, non avendo ancora deciso la definitiva collocazione elettorale (sebbene l’endorsement di Steve Bannon lasci presagire il tramonto dell’ipotesi di una Lega nel Ppe), assieme a Kurz, al bavarese Seehofer e al per ora indecifrabile Luigi Di Maio. 

Opa ostili sul Ppe?

Ciò che si sta delineando è una situazione in cui il Ppe è oggetto di una sorta di “campagna acquisti” da parte di forze esterne, di Opa ostili da parte di leader che hanno potenzialmente interesse a sottrarre delle formazioni dal perimetro del “centrodestra” comunitario. 

Emmanuel Macron, viste le fortune calanti delle famiglie socialiste e liberali, vuole rimpinguare una potenziale alleanza elettorale futura sottraendo forze politiche al Ppe, tra cui i Moderati svedesi e i centristi belgi, mentre d’altro canto negli ultimi tempi la pressione di personalità come Orban, Seehofer e Kurz ha portato il partito a una virata più conservatrice concretizzatasi nella nomina del bavarese Manfred Weber a candidato alla Presidenza della Commissione nel 2019.

Di fatto, i protagonisti dello scontro dialettico tentano effettivamente di dare concretezza a una realtà mediatica che esiste per ora solo sulla carta: ma non sarà facile, e la scelta di Weber è sintomatica del fatto che in prospettiva il Ppe abbia già ipotizzato una potenziale svolta a destra nella formazione della Commissione nel 2019.

Non è un caso che proprio il conservatore Weber sia stato l’autore del principale tentativo di mediazione tra il Ppe e Orban, ma anche il primo a ventilare il possibile avvallo della sanzione e della procedura d’infrazione. Il voto sull’Ungheria esaspera su linee interne la frattura che già interessa il panorama politico comunitario. Ed essendo il Ppe l’ago della bilancia, è certo che ogni sua decisione avrà influenza sugli schieramenti elettorali del prossimo maggio.

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