La guerra in Ucraina, specialmente in Europa – per ragioni di geografia emozionale –, ha adombrato tutto o quasi quello che sta accadendo sia all’interno del Vecchio Continente sia nel resto del mondo. Dalla pandemia di COVID19, quasi scomparsa dai riflettori, all’assassinio di Shinzo Abe, rapidamente mangiato da altre notizie, tutto assume una rilevanza secondaria davanti alla crisi ucraina. E, in parte, è giusto così: perché l’Ucraina è il dito, la transizione multipolare è la Luna.

Sullo sfondo e in concomitanza della guerra in Ucraina, però, tanti eventi, fenomeni e processi hanno avuto e stanno avendo luogo. Perché la storia non si ferma. Mai. E uno di questi è il proseguimento della guerra civile occidentale, come rammentato dal rovesciamento della Roe contro Wade negli Stati Uniti e dal rilancio del braccio di ferro sui diritti tra Eurocommissione e asse Varsavia-Budapest.

Bruxelles contro Varsavia, ma pesa l’incognita Kiev

Il 13 luglio è stato pubblicato il rapporto annuale dell’Eurocommissione sullo stato di diritto – e per Polonia e Ungheria non è una bella notizia. Dalle informazioni raccolte dagli inquirenti di Bruxelles, invero, nessuno dei due Paesi si è adeguato alle richieste di riforma lanciate da Bruxelles né mostra volontà di allineamento nel prossimo futuro.

Varsavia, ad esempio, per via dell’agenda PiS per il sistema giudiziario, è stata condannata dalla Corte di Giustizia Europea al pagamento di una penale giornaliera di un milione di euro. Un totale di trecento milioni di euro accumulati, dalla sentenza alla pubblicazione del rapporto, che l’esecutivo non ha ancora pagato. E che non sembra avere intenzione di pagare, nella convinzione, forse, che Bruxelles non possa permettersi gesti eclatanti – come il congelamento a tempo indefinito dell’accesso ai fondi di ripresa – perché da una Polonia stabile e prospera dipendono la salvaguardia dell’Ucraina e la sicurezza nel fianco orientale dell’Alleanza Atlantica.

Nonostante il fondo di ripresa per la Polonia sia stato approvato – una cifra pari a 35,4 miliardi di euro –, il conto corrente risulta ancora bloccato. Ed è precisamente su questo, sulla dilazione a oltranza dell’apertura del conto, che punta l’Unione Europea per persuadere l’esecutivo polacco ad avallare le riforme richieste nel giudiziario. Ma tirare eccessivamente la corda, data la centralità della Polonia nei nuovi assetti europei, potrebbe lavorare in senso contrario all’Interesse superiore europeo – attualmente corrispondente alla coesione tra membri e tra membri e istituzioni per massimizzare gli sforzi in Ucraina – e, non è da escludere, persino irritare gli Stati Uniti – guardiani a distanza del Cristo d’Europa.

Gli occhi su Budapest

Nel rapporto annuale dell’Eurocommissione sullo stato di diritto è stato dedicato dello spazio anche all’altra grande spina nel fianco dell’Unione Europea, e cioè l’Ungheria di Fidesz. Dove, per gli euro-osservatori, la situazione è finanche più critica che in Polonia: problemi di corruzione, mancanza di pluralismo nel mondo dell’informazione, abuso dei poteri emergenziali, diritti arcobaleno e altro ancora.

Contrariamente a Varsavia, che per via del fattore Kiev ha ottenuto lo sblocco dei fondi di ripresa in tempi record, Budapest non ha ancora ricevuto semaforo verde per l’erogazione dei sette miliardi e duecento milioni di euro previsti e, secondo fonti comunitarie, difficilmente potrà attingervi a breve. L’obiettivo (di Bruxelles) è ritardare l’approvazione del pacchetto di aiuti per Budapest, con tutto ciò che ne consegue per l’economia reale, nella speranza-aspettativa di strappare qualche concessione a Viktor Orban.

Poiché Budapest è il perno centrale dell’euroscetticismo, e la centrale elettrica dell’internazionale conservatrice, è qui più che a Varsavia che Bruxelles concentrerà sforzi e pressioni di vario tipo. Come raccontano il ricorso contro l’interruzione delle trasmissioni di Klubradio, il ricorso contro la legge sulla propaganda gay e l’apertura della procedura d’infrazione per una legge che favorisce gli automobilisti con targa magiara. Perché l’Ucraina non ha cancellato niente: ha catalizzato alcuni fenomeni e ne ha adombrati altri, talvolta mettendoli in un temporaneo stand-by, come la guerra civile occidentale tra conservatori e progressisti.

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