La capitale osseta Tskhinvali è pronta a seguire le orme di Sinferopoli, Donetsk e Lugansk. Ad assicurarlo è il presidente dell’Ossezia del Sud, Anatoly Bibilov, che la scorsa settimana ha rilanciato l’ipotesi di indire un referendum per annettere alla Federazione Russa il piccolo Stato indipendente de facto dal 1991. Una proposta già avanzata in più di un’occasione. L’ultima lo scorso giugno, quando il capo della repubblica rivendicata dal governo georgiano e riconosciuta soltanto da Russia, Venezuela, Nicaragua e Nauru, aveva annunciato che “prima o poi” sarebbe stata indetta una consultazione per sancire l’unione di Tskhinvali con Mosca, ipotizzando addirittura di poter organizzare le votazioni entro la fine del 2017.
L’Ossezia del Sud “deve essere parte della Russia”, ha ribadito giovedì scorso Bibilov, citato dall’agenzia russa Ria Novosti. “La Russia è la nostra patria storica”, ha detto il presidente osseto, “abbiamo vissuto fuori dalla Russia per 80 anni, ma oggi di fatto ne siamo parte integrante”. “I nostri cittadini sono russi, la nostra economia è legata alla Russia, gli stipendi e i programmi governativi sono finanziati con il budget russo”, ha sottolineato l’ex presidente del Parlamento, che lo scorso aprile ha preso il posto del capo di Stato uscente, Leonid Tibilov.
A detta di Bibilov, quindi, la popolazione osseta potrebbe essere chiamata a pronunciarsi “in qualsiasi momento” sui destini della repubblica considerata parte integrante del territorio georgiano da Onu e Unione Europea. Il governo di Tbilisi, da parte sua, non perde occasione per riaffermare la propria volontà di ripristinare l’integrità territoriale della Georgia, attraverso la riannessione delle due regioni separatiste sostenute da Mosca. “Dobbiamo riunirci con i nostri fratelli dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud”, ha detto martedì scorso il presidente georgiano Giorgi Margvelashvili, sottolineando come il conseguimento dell’unità nazionale resti il “principale obiettivo” dell’esecutivo per il 2018.
Dalla prova di forza dell’allora presidente georgiano Mikhail Saakashvili, che la notte tra il 7 e l’8 agosto del 2008 diede il via al blitz militare per riconquistare la regione separatista, poi risoltosi con la vittoria delle truppe russe intervenute a sostegno delle forze ribelli ossete, l’alleanza tra Mosca e Tskhinvali è andata rafforzandosi di pari passo con il consolidamento del supporto atlantico nei confronti di Tbilisi. Fino ad arrivare, lo scorso marzo, alla decisione del Cremlino di incorporare le forze separatiste dell’Ossezia del Sud sotto il comando militare russo.
“Non abbiamo paura di Tbilisi, ma siamo seriamente preoccupati per le azioni dei suoi alleati occidentali che sembrano aver completamente dimenticato a cosa ha portato in passato la militarizzazione della Georgia”, ha detto in una recente intervista apparsa sull’agenzia di stampa Interfax il vice ministro degli Esteri russo, Grigorij Karasin. Nonostante le relazioni russo-georgiane siano migliorate negli ultimi anni, “a fronte della fornitura di armamenti occidentali, non esistono garanzie sul fatto che la Georgia possa di nuovo di assumere in futuro un atteggiamento bellicoso nei confronti dei suoi ex territori”, ha sottolineato Karasin. Nel caso in cui si verificasse una nuova aggressione, ha quindi avvertito il ministro, “non lasceremo soli i nostri alleati”. “Considerando la presenza della Nato in Georgia – chiosa infine il diplomatico di Mosca – uno scenario del genere sarebbe molto pericoloso per la stabilità internazionale”. E con il possibile referendum osseto all’orizzonte, lo scacchiere caucasico rischia di dover fare ancora una volta da cornice alla guerra fredda tra Russia e Occidente.