Il governo del premier britannico Boris Johnson non ha dubbi: la Russia deve perdere. Nessuna trattativa, nessuna resa, nessun accordo tra le due parti del conflitto che abbiano come presupposto la cessione di alcuni territori dell’Ucraina o la capitolazione di Volodymyr Zelensky. Il Cremlino secondo il governo di Sua Maestà, deve semplicemente fare marcia indietro e tornare al di là delle frontiere ucraine. E il Regno Unito, come tutto l’Occidente, deve fare la sua parte fino alla fine. Non solo respingendo l’avanzata russa iniziata a febbraio, ma costringendo Mosca a ritirarsi anche da quella Crimea annessa da anni e mai messa in discussione dal Cremlino.
A esplicitare questa spinta oltranzista di Londra è stata la ministra degli Esteri, Liz Truss, che nel discorso tenuto in occasione dell’Easter Banquet alla Mansion House, ha utilizzato parole più che nette: “La guerra in Ucraina è la nostra guerra, è la guerra di tutti perché la vittoria dell’Ucraina è un imperativo strategico per tutti noi. Armi pesanti, carri armati, aeroplani: scavando in profondità nei nostri inventari, aumentando la produzione. Dobbiamo fare tutto questo”. Non ci sono messaggi impliciti, concetti che potrebbero utilizzati come spiragli per negoziare. E queste parole, che giungono mentre Vladimir Putin ha detto che sono pronti “strumenti mai visti” per una reazione “rapida e fulminea” a chi interferisce con il conflitto ucraino, lasciano intendere che la mediazione, per ora, è su un binario morto.
L’intransigenza britannica non è nuova in questa guerra. Il Regno Unito ha palesato sin da subito un sostegno totale al governo di Kiev, aveva addestrato prima i soldati dell’esercito ucraino, ha inviato armi fondamentali per frenare l’avanzata dell’esercito russo e ha utilizzato l’intelligence per svelare gran parte degli obiettivi del Cremlino e delle sue manovre sul campo. L'”operazione militare speciale”, come la chiamano a Mosca, è una guerra che gli 007 inglesi conoscono alla perfezione. E i britannici appaiono come i veri e propri falchi della Nato, a volte addirittura anticipando lo stesso governo statunitense, che ha comunque già fatto intendere di non essere disposto a trattare per far sì che la Russia si impantani in una guerra logorante e disastrosa.
Il discorso di Truss però dice altro. Non c’è solo il sostegno all’Ucraina – che per Londra non deve più solo resistere, ma vincere – ma anche una ridefinizione delle proprie ambizioni internazionali. La rappresentante del governo britannico e una delle più importanti personalità della galassia Tory, ha invocato un riarmo dell’Occidente, ha citato anche la Cina, ricordando che, al pari della Russia, la superpotenza asiatica considera l’Occidente un avversario strategico insieme ai valori che esso esprime. Si è fatta promotrice di una Nato che “deve avere una prospettiva globale, pronta ad affrontare le minacce globali”, ribadendo l’obiettivo di “garantire che le democrazie come Taiwan siano in grado di difendersi”. Ha continuato dicendo che dovranno essere resi sempre più importanti i sistemi della Nato, del G7 e del Commonwealth, rafforzando i legami come la “Joint Expeditionary Force guidata dal Regno Unito, i Five Eyes e la partnership Aukus” trasformando il G7 in una “Nato economica”.
Una retorica che dimostra come le velleità imperiali siano tornate a regnare a Londra. Le parole di Truss, che si è sempre spesa per condannare la Russia e fare il possibile per sostenere l’Ucraina con ogni mezzo, sono infatti in linea con quanto affermato in questi mesi di guerra da tutto il governo. Non solo da Johnson. Il ministro della Difesa, Ben Wallace, ha ribadito che l’idea è quella di mandare le truppe russe “fuori dall’Ucraina e dalla Crimea”. Ipotesi che appare estremamente complessa, specialmente per la penisola. In questi giorni, inoltre, aveva provocato l’ira di Mosca la frase del suo viceministro, James Heappey, che aveva definito “interamente legittimo” per gli ucraini colpire la logistica nemica in territorio russo con armi date dai britannici. Insomma, c’è un intero governo conservatore britannico che appare totalmente schierato verso una nuova ambizione internazionale che passa inevitabilmente per questo conflitto in Ucraina e per la netta opposizione a qualsiasi decisione del Cremlino.
Quali possano essere le ragioni profonde dietro questa svolta così dura di Londra è difficile. Innanzitutto c’è una special relationship con gli Stati Uniti che si è pienamente rafforzata dopo la Brexit. L’uscita del Regno Unito dall’Unione europea ha avuto come prima conseguenza (e forse anche causa) una nuova e piena aderenza della Gran Bretagna alle strategie Usa. E questo ha comportato un riequilibrio verso ovest di tutta l’agenda Uk, ora profondamente e solamente parte dell’Alleanza Atlantica e di altre piattaforme in cui è sempre presente Washington. A questo si aggiunge il problema di Johnson di dover fare i conti con un pericoloso isolamento internazionale che, soprattutto con l’uscita di scena di Donald Trump, poteva diventare fatale. Il premier britannico, forte della vicinanza con l’ex tycoon, aveva mostrato una decisa presa di posizione contro l’Europa, rischiando però di rimanere escluso dalle varie partnership con l’Ue i gli Stati membri. Anche sul piano diplomatico. Mentre sul fronte dell’Estremo Oriente e in generale asiatico, area in cui l’ex impero britannico ha sempre avuto un tradizionale (e evidente) occhio di riguardo, Johnson era apparso molto distante, al limite della rottura delle relazioni per alcuni pericolosi incidenti diplomatici. Come ricordato da Marzia Maccaferri su Il Domani, a tutto questo si aggiunge anche una crisi interna del premier causata dal Partygate e che inevitabilmente incide su una assertività internazionale e quasi etica di supporto a Kiev per evitare troppe condanne interne al parlamento.
Infine, non va dimenticato che molto spesso, come confermano diversi analisti, la politica estera britannica si è rivelata uno strumento per compattare il delicato fronte interno, diviso da profonde fratture risorte con la Brexit e che trova nelle velleità “geopolitiche” una valvola di sfogo per evitare di dover riflettere sul proprio inquietante presente. Non tutti i nodi di quell’uscita dall’Europa sono ancora venuti al pettine. E sono in molti a sostenere che dietro le ambizioni mondiali di Londra, dagli antichi fasti del Commonwealth al sogno di gloria in Ucraina, vi sia in realtà una crisi di identità che potrebbe esplodere una volta messe a tacere definitivamente le armi. Una crisi che nasce anche da una necessaria accettazione da parte britannica: gli Stati Uniti ora sono il vero impero.