Il tema della Brexit ogni giorno che passa si fa sempre più incandescente, soprattutto perché dopo la nomina di Boris Johnson come Primo Ministro l’eventualità del “no deal” è diventata una possibilità sempre più reale, specialmente se l’Unione Europea non sarà disposta a rinegoziare l’intesa raggiunta –e bocciata– con Theresa May. La “hard Brexit”, però, potrebbe con sé un problema di difficile risoluzione ovvero la frontiera tra Irlanda e Irlanda del Nord, dove per via dell’accordo del Venerdì Santo– che segnò la pace tra le due fazioni– non è possibile ristabilire un confine fisico. Il rischio è quello di far riaccendere il sanguinoso conflitto tra cattolici e protestanti, creando nuovamente una divisione tra Irlanda e Regno Unito. Come riportato dal The Independent il governo Johnson starebbe pensando di applicare una misura straordinaria nel caso dell’uscita dall’UE senza accordo, ovvero imporre un controllo diretto da parte di Londra sull’Irlanda del Nord cessando, momentaneamente, l’autonomia regionale. Ad aprire a questa possibilità è stato Dominic Raab, segretario agli Esteri e numero 2 di Johnson, che alla stazione radiofonica BBC4 ha sottolineato che “il Governo farà di tutto per far sì che non si crei un vuoto esecutivo, ma la priorità è quella di vedere i partiti dell’Irlanda del Nord assumersi la responsabilità e il controllo”.

La sospensione dell’autonomia

Presumibilmente se il 31 ottobre 2019 non sarà stato trovato e ratificato un accordo e non ci sarà un’ulteriore proroga per la Brexit, il 1° novembre il governo di Londra sospenderà l’autonomia di Belfast per non creare una pericolosa impasse. Lo stesso Rabb ha spiegato che al momento il segretario dell’Irlanda del Nord Julian Smith sta guardando con attenzione a tutte le possibilità, anche a quella più drastica che provocherebbe un innalzamento della tensione nell’isola di Irlanda. Questo perché imporre il controllo di Londra sull’Ulster farebbe cessare l’accordo del Venerdì Santo, incentrato intorno all’autonomia, creando nuovi problemi con i partiti nazionalisti (prevalentemente cattolici) dell’Irlanda del Nord che mirano, ancora, a unificare l’isola in un unico Stato. Da Downing Street, stando al Financial Times, non è arrivata alcuna smentita a questa ipotesi, aumentando le pressioni in vista della prossima visita in Irlanda del Nord del Primo Ministro Boris Johnson. Lo scopo del viaggio sarà quello di aggiornare l’assemblea di Belfast e i principali partiti locali, tra cui il Dup (alleato di governo), sulle trattative per la Brexit e sulle politiche che saranno perseguite da Londra nel caso di un’uscita senza accordo.

Ritorno al passato?

Un problema di difficile risoluzione per il governo Johnson, specialmente perché l’Irlanda del Nord in caso di “hard Brexit” sarà esposta ai più dannosi shock economici, trovandosi di fatto isolata dall’UE e dalla Gran Bretagna. Al tempo stesso un recente report del think tank Institute for Government ha rimarcato il fatto che scegliere di imporre il controllo diretto del governo di Londra sarebbe positivo per attutire i danni economici, ma di contro ci sarebbe un incremento esponenziale del rischio di contraccolpi politici e di un aumento della tensione. Il rischio è che si crei una frattura insanabile all’interno del Regno Unito, anche perché quei 208 punti di controllo tra le due irlande inattivi dal 1998 potrebbero tornare a “nuova vita” dal 1° novembre prossimo.

L’abitudine degli irlandesi a non avere più una frontiera fisica potrebbe dar nuovo ossigeno alla fiamma dell’indipendentismo, intaccando l’identità nazionale del Regno Unito nel suo punto più debole. A creare preoccupazione a Londra è un recente sondaggio, evidenziato da Foreign Policy, dove è emerso che il 50% della popolazione dell’Irlanda del Nord non si sente né unionista né tanto meno nazionalista. Una fascia “grigia” che potrebbe schierarsi qualora le conseguenze della Brexit fossero dannose per la già fragile economia dell’Irlanda del Nord. Nel frattempo il 18 aprile è tornato il sangue a Derry/Londonderry, dove la giornalista Lyra McKee è stata uccisa da alcuni miliziani della New Irish Republican Army, risultato di una coalizione tra paramilitari che hanno rifiutato il processo di pace avviato con gli accordi del Venerdì Santo. Il prossimo viaggio in Irlanda del Nord di Boris Johnson e il successivo incontro con il premier irlandese Leo Varadkar saranno due appuntamenti cruciali per capire quali saranno le prossime mosse del governo di Londra. In ballo c’è la tenuta del Regno Unito stesso.

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