Dopo aver assunto una posizione inizialmente defilata sul dossier Minsk, forse nell’attesa di comprendere se e quanto successo avrebbero potuto avere le proteste post-elettorali, la decisione dell’amministrazione Trump di inviare il proprio vicesegretario di Stato in missione nell’Europa orientale, la prossima settimana, potrebbe essere il segnale che è giunto il momento dell’azione per Washington.

Un viaggio da non sottovalutare

La notizia del viaggio di Stephen Biegun, il vicesegretario di Stato degli Stati Uniti e numero due del Dipartimento di Stato dopo Mike Pompeo, è stata data con un’irrituale assenza di preavviso, come se fosse stata organizzata in tempi estremamente rapidi. Il tour di Biegun, infatti, è stato annunciato il mattino del 22 e inizierà a breve: il 24.

Le tappe saranno tre: Vilnius, Mosca e Kiev. Nella capitale lituana, Biegun avrà un incontro a porte chiuse con Svetlana Tikhanovskaya, la principale rivale di Aleksandr Lukashenko, durante il quale è altamente possibile che si discuterà di due argomenti: un’intromissione di peso di Washington nella questione bielorussa, ossia supportando in maniera concreta la lotta dell’opposizione, e/o l’elaborazione di un piano d’azione che possa ricevere il beneplacito del Cremlino.

Al di là delle dichiarazioni di circostanza in favore di Lukashenko, che restano limitate nella sfera verbale, la Russia ha sviluppato un’opinione essenzialmente negativa del presidente bielorusso per via del braccio di ferro dell’ultimo anno causato dal suo tentativo di entrare nella sfera d’influenza euroamericana, abbandonato all’indomani dello scoppio dell’insurrezione post-elettorale. In breve, il Cremlino è consapevole che Lukashenko non si può più considerare un alleato affidabile e che la sua svolta antioccidentale del dopo-elezioni è imputabile unicamente alla comparsa dei gravi disordini.

La Tikhanovskaya e Vladimir Putin potrebbero quindi raggiungere un compromesso: semaforo verde di Mosca ad un cambio di regia a Minsk in cambio di garanzie sul futuro allineamento geopolitico del Paese. Questo potrebbe essere il motivo per cui, subito dopo Vilnius, Biegun si recherà nella capitale russa: presentare una proposta capace di soddisfare ogni parte in causa. A questo proposito, non è da trascurare la presa di posizione dell’ultima ora degli altri capifila dell’opposizione anti-Lukashenko, come Valery Tsepkalo, secondo il quale la Bielorussia del futuro dovrebbe mantenere una linea neutrale, sviluppando rapporti di buon vicinato con l’Occidente ma senza entrare a far parte dell’Alleanza Atlantica “per non creare una minaccia alla Russia”.

Biegun soggiornerà a Mosca per due giorni, il 25 e il 26, prima di dirigersi a Kiev, ultima tappa del viaggio ed anche la più enigmatica. Mentre il programma di Vilnius e Mosca è stato brevemente esposto al pubblico, anche da parte degli omologhi degli altri due Paesi, non sono stati rilasciati dettagli su chi incontrerà, su cosa farà e di cosa discuterà Biegun nella capitale ucraina. L’assenza di informazioni può essere indicativa di un fatto: Kiev potrebbe essere la destinazione più importante del tour.

Non cala la tensione in Bielorussia

Dalla sera del 9 agosto in Bielorussia è crisi permanente. Le proteste di piazza organizzate dai seguaci di Svetlana Tikhanovskaya e da altre personalità dell’opposizione continuano ad avere luogo con cadenza quasi giornaliera, sullo sfondo dei boicottaggi e degli scioperi condotti dagli operai in decine di fabbriche che stanno paralizzando l’apparato produttivo nazionale.

L’Unione Europea ha preso una posizione chiara e netta sulle dinamiche che stanno attraversando la Bielorussia, allestendo ben due video-vertici nell’arco di cinque giorni, il 14 e il 19 agosto, durante i quali è stato elaborato e approvato un piano d’azione basato sull’applicazione di sanzioni contro la squadra di Lukashenko e sull’invio di denaro a giornali e organizzazioni della società civile impegnate nella causa della democratizzazione.

A guidare sin dai primordi l’agenda e l’indirizzo di Bruxelles sono stati due Paesi spesso ritenuti, a torto, privi di una politica estera autonoma e di una visione propria del mondo: Polonia e Lituania. Il duo, lungi dall’essere un automa geopolitico, da un decennio è impegnato nell’ambizioso progetto egemonico di riportare in vita la confederazione polacco-lituana attraverso la costruzione di un corridoio intraeuropeo esteso dal mar Baltico al mar Nero, ottimamente rappresentato da, e condensato in, progetti come l’E40 e l’Iniziativa dei Tre Mari.

Dopo aver accolto i due principali rivali di Lukashenko fuggiti da Minsk – Tsepkalo è riparato a Varsavia, mentre la Tikhanovskaya si trova a Vilnius – facilitando la loro missione di guidare e coordinare le azioni dei dimostranti, evitandone un possibile arresto, i due Paesi stanno continuando ad alimentare l’insurrezione post-elettorale.

L’ultima e più significativa iniziativa implementata da parte polacca è l’approvazione via parlamentare di un piano da 50 milioni di zloty (13 milioni di dollari) per supportare l’opposizione anti-Lukashenko, mentre da parte lituana è la decisione dell’università di Vilnius di offrire borse e programmi di studio gratuiti agli studenti bielorussi per sensibilizzarli sulla democratizzazione.

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