La Nato e le potenze occidentali continuano a premere affinché in Kosovo torni definitivamente la calma. La portavoce dell’Alleanza, Oana Lungescu, ha esortato “le istituzioni in Kosovo a ridurre immediatamente la tensione” e ha chiesto a tutte le parti coinvolte nelle tensioni nella parte settentrionale del Paese “di risolvere la situazione attraverso il dialogo”. “Condanniamo la decisione di Pristina di forzare l’accesso agli edifici municipali nel nord del Kosovo, nonostante il nostro appello alla moderazione: chiediamo alle autorità kosovare di fare immediatamente un passo indietro e di ridurre la tensione e di coordinarsi strettamente con Eulex e Kfor. Condanniamo gli attacchi all’Eulex a Zvecan” hanno scritto in un comunicato congiunto Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Stati Uniti, dicendo di essere anche “preoccupati per la decisione della Serbia di aumentare il livello di prontezza delle sue Forze Armate al confine con il Kosovo e invitiamo tutte le parti alla massima moderazione, evitando la retorica incendiaria”.

La Nato, impegnata in Kosovo con la missione Kfor, e l’intero blocco occidentale restano dunque vigili. Perché nonostante la fine degli scontri, la tensione tra Belgrado e Pristina rimane alta. Tutto è iniziato con le proteste dei serbi del nord del Kosovo contro i nuovi sindaci eletti alle ultime elezioni di aprile boicottate proprio dalla maggioranza della popolazione. Questo ha fatto sì che in questi comuni, a maggioranza serba, siano stati eletti rappresentanti di minoranze con percentuali di affluenza bassissime. Con l’inizio dell’incarico, i serbi hanno iniziato una serie di dimostrazioni contro il governo kosovaro, cui la polizia di Pristina ha risposto con lanci di lacrimogeni e cariche. La Serbia, che si considera protettrice della minoranza del nord del Kosovo, ha inviato le truppe al confine mettendo l’esercito in stato di massima allerta. Oggi, Srpska Lista, il partito che rappresenta i serbi del nord del Kosovo, ha chiesto direttamente al presidente serbo Aleksandar Vucic di chiudere ogni dialogo con il governo di Pristina finché quest’ultimo non ritirerà tutte le unità della polizia speciale. Ma la lista della parte serba, tra le varie condizioni, chiede anche l’immediata cessazione del lavoro dei sindaci eletti dalle sole minoranze albanesi, non riconoscendone l’autorità.

La tensione c’è, e si ripercuote inevitabilmente anche sul piano internazionale. Le potenze occidentali coinvolte nel fragile cosmo balcanico hanno già fatto intendere a Pristina, e in particolare alle sue massime autorità – la presidente Vjosa Osmani e il premier Albin Kurti – di considerare eccessivi i metodi usati dal governo per fermare le proteste nella quattro municipalità del nord: Zvecan, Zubin Potok, Leposavic e Nord Mitrovica. Le critiche sono giunte anche a Belgrado, dove Vucic usa anche la carta dei serbi del Kosovo come strumento politico. Ma il concetto espresso da tutto l’Occidente è quello di evitare qualsiasi riattivazione del focolaio tra i due Paesi quando si cerca di arrivare con molte difficoltà a un accordo che già appare estremamente fragile. A criticare il governo kosovaro è stata poi anche la Russia, da sempre alleata della Serbia, che ha però accusato non solo Pristina, ma anche gli Stati Uniti e l’Unione europea di avere in qualche modo creato le condizioni affinché le autorità del Paese si sentissero autorizzate a intervenire. È chiaro che Mosca ha tutto l’interesse a mostrare gli eventuali punti deboli dell’Occidente e a fare in modo di investire su questi focolai per far capire di sapere anche colpire dove ritiene più opportuno attraverso i propri alleati. Ed è anche per questo motivo che la Nato, Washington e le varie cancellerie coinvolte nei Balcani vogliono evitare tensioni in grado di sfociare in qualcosa di pericolo e in un momento di già enorme crisi tra Russia e Occidente.

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