Donald Trump si avvia a concludere il suo primo anno da presidente degli Stati Uniti d’America. Se c’è una questione palesemente irrisolta tra quelle presentate nel programma elettorale repubblicano, questa è sicuramente l’Obamacare, la legislazione obamiana in materia di sanità contro cui Trump si scaglia sin dai tempi della discesa in campo. Una riforma molto discussa, centrale per tutta la durata della campagna elettorale e che The Donald, per adesso, non è riuscito a cambiare di una virgola. “Abrogheremo e sostituiremo l’Obamacare e avremo una grande assistenza sanitaria, subito dopo il taglio delle tasse”, l’ultimo tweet al riguardo del presidente americano è un avvertimento al Congresso. Gran parte della credibilità in politica interna del Tycoon si gioca infatti sulla concreta abolizione della più significativa riforma pubblica mai approvata nella storia degli States. Sì perché l’Obamacare ha sconvolto il sistema medico a trazione privatistica degli Usa, consentendo a fasce sino ad allora escluse di accedere alla copertura sanitaria, ma modificando l’assetto fiscale complessivo previsto in precedenza.
L’Obamacare ha potenziato il Medicaid, cioè il programma sanitario destinato all’assistenza delle fasce sociali più deboli, garantendo la copertura finanziaria a quei cittadini che precedentemente non avrebbero potuto permettersi l’acquisto di polizze assicurative. Chi paga, però, per questa estensione di diritti? Secondo questo calcolo pubblicato sul sito Truenumbers, il repeal, cioè l’abolizione della riforma, porterebbe nelle casse federali 550 miliardi di dollari da qui al 2026. Cifra che rappresenterebbe il costo prospettico della riforma obamiana. L’ex presidente democratico, infatti, per garantire l’attuazione della legislazione, ha modificato laNet Investment Income Tax, cioè la tassa sugli investimenti netti e il reddito, sovratassando del 3,8% i guadagni derivanti da “capitali o redditi molto alti”. A pagare, in sintesi, sono le classi medio-alte. Si aggiunga, che le imprese con più di cinquanta lavoratori hanno l’obbligo di contribuire all’acquisto delle assicurazioni. Specifica il portale d’informazione sui veri numeri della politica contemporanea: “In pratica già negli Usa si pagava il 20% sui dividendi, sugli interessi attivi, sulle plusvalenze in caso di vendita di beni capitali (azioni, quote di imprese, ecc), su royalties o affitti, insomma su tutto ciò che non è reddito da lavoro. Per finanziare l’Obamacare è stato aggiunto il 3,8% a questo 20%. Questa sovrattassa è stata introdotta anche sui redditi se questi superano i 200 mila dollari, o i 250 mila se si tratta di una coppia”. Una legislazione di questo genere, per i repubblicani, rappresenta un immotivato regalo alle minoranze etniche. Una donazione moralmente gratuita della classe media americana.
Nonostante i repubblicani rappresentino la maggioranza del Congresso, l’abolizione della riforma resta, per ora, un miraggio. I fallimenti sono tutti ascrivibili alla lotta interna al Gop. I nemici interni di Trump nel fronte repubblicano, infatti, sanno bene che impedire al presidente di mantenere una promessa elettorale di questa portata, consente di ridiscutere la leadership politica di The Donald più di qualunque scandalo sessuale o presunta interferenza russa. Nonostante il Gop contesti la riforma ad Obama da quando questa è stata approvata, cioè da sette anni, lo stesso Gop che controlla anche la Corte Suprema, la maggioranza parlamentare non ha ancora trovato una quadra utile all’abolizione. Gli “imputati” principali di questo fallimento politico sono Mitch McConnell, capogruppo al senato, e Paul Ryan, presidente della Camera, entrambi non in grado, secondo gli accusatori, di portare risultati concreti in materia. Il nome più pesante, però, tra quelli che starebbero manovrando per impedire a Trump di segnare questo punto, è certamente quello di John McCain. Donald Trump, tuttavia, non sembra intenzionato a mollare la presa: la sua ultima mossa è stata quella di firmare un ordine esecutivo in grado di dare inizio al processo di cancellazione dell’Obamacare, in virtù di un futuro piano sostitutivo. Il messaggio alla sua base elettorale, insomma, è chiaro: il presidente degli Stati Uniti vuole abolire la riforma di Obama, ma il Gop non glielo lascia fare. Il problema di un ordine esecutivo di questo tipo, infine, è proprio la sostituzione della legislazione: quella famosa Trumpcare che sembrava essere cosa fatta a marzo scorso, ma che è stata affondata a luglio “grazie” a quattro defezioni repubblicane.