Non si placano le lunghe ondate di caos politico nello Sri Lanka assediato da crisi economica, crisi alimentare e tensioni interne. Nella giornata dell’8 luglio migliaia di manifestanti hanno dapprima assediato e in seguito fatto irruzione nella residenza presidenziale a Colombo, costringendo il presidente Gotabaya Rajapaksa a fuggire dal palazzo.

Dopo alcune ore l’ondata di proteste per la grave crisi economica nel Paese ha portato alle dimissioni del primo ministro Ranil Wickremesinghe. La nazione è allo sbando, in una fase in cui alla crisi economica mordente si è aggiunta, negli ultimi mesi, la commistione tra carovita alimentare, inflazione energetica e instabilità politica. Il presidente, esponente di una delle famiglie storicamente più legate al potere a Colombo, è nel mirino: negli ultimi tre anni non ha saputo governare la crisi legata alla pandemia di Covid-19 e, dopo l’elezione, ha assistito senza colpo ferire alla perdita della rendita turistica favorendo con le sue politiche economiche le classi privilegiate, avvantaggiate da poderosi tagli di imposta che hanno aperto voragini di bilancio in grado di portare dal 42% al 101% il rapporto debito/Pil.

Inoltre, Rajapaska è stato accusato di gestire il potere in forma clientelare. Dal 2019 al 2021, in due esecutivi distinti, il primo ministro è stato suo fratello Mahinda Rajapaksa, già capo dello Stato dal 2005 al 2015 e figura chiave del Fronte Popolare dello Sri Lanka, la formazione nazionalista, populista e fieramente neoconservatrice in economia guidata dai due Rajapaksa.

Il 3 aprile scorso il secondo governo di Mahinda si era dimesso e Gotabaya aveva assunto in prima persona il potere dopo settimane di proteste contro l’ennesima recessione economica apertasi nel Paese e contro l’aumento dell’inflazione, che il presidente era accusato di aver alimentato stimolando la banca centrale a stampare moneta. Dopo un breve interim, nel terzo governo della sua presidenza, a maggio il capo dello Stato aveva chiamato per governare la situazione Ranil Wickremesinghe, 73enne navigato politico ceylonese con alle spalle diverse esperienze da capo del governo  (1993-1994, 2001-2004, due mandati tra il 2015 e il 2019) chiamato a formare il quinto esecutivo della sua carriera. L’uomo che ha posto fine alla guerra tra Colombo e i ribelli delle Tigri Tamil si è trovato però di fronte una situazione compromessa in cui il vero obiettivo di una protesta largamente depoliticizzata è il presidente e, assieme, la scelta dei Rajapaksa di governare attraverso gli Stati d’emergenza. Ora, dopo le sue dimissioni, il Paese entra in un territorio inesplorato.

Ci sono molti elementi di preoccupazione che lasciano presagire importanti conseguenze internazionali per la crisi dello Sri Lanka.

Il primo è la natura della crisi dello Sri Lanka come modello dell’emergenza che attende diversi Paesi in via di sviluppo nell’epoca della grande instabilità energetica, alimentare e politica globale. L’onda lunga della Guerra Fredda 2.0 e del conflitto ucraino si riverbera sotto forma di onde sismiche, come un maremoto, fino al cuore dell’Oceano Indiano. Segnando una de-strutturazione del rapporto causa-effetto delle principali dinamiche su scala globale: l’era della complessità porta a imprevedibili effetti farfalla. Il caos dello Sri Lanka, le crisi alimentari in Paesi come la Tunisia, il Ciad, il Congo, il risveglio del Nicaragua, il ritorno del Venezuela nei mercati petroliferi globali, l’escalation anticristiana in Nigeria: in un modo o nell’altro, questi frattali sono stati tutti, alla loro maniera, riattivati dopo lo spartiacque del 24 febbraio 2022.

Il secondo punto da sottolineare è la frattura interna in uno Stato ritenuto chiave per la geopolitica locale. Una delle tante periferie contese già messa sotto pressione da tragedie come l’attentato anti-cristiano della Pasqua 2019uno degli eventi più enigmatici e funesti della storia recente del Paese, interessata dalle strategie di numerose potenze. La Cina in primis vede nello Sri Lanka un partner per le “Nuove Vie della Seta”; gli Stati Uniti ne vogliono fare un bastione contro Pechino e l’India vive l’ambivalenza tra rapporti ombelicari e la difficoltà nel prevedere la rotta del piccolo e dinamico vicino. Infine, la Chiesa cattolica e il Vaticano guardano alla piccola, antica e combattiva minoranza cattolica dello Sri Lanka come al “sale della Terra” del Sud-Est Asiatico, porta della diplomazia multipolare di Papa Francesco. Unico tra i leader della Terra, non a caso, a esporsi apertamente per la pace.

E il dato religioso è il terzo, e ultimo, punto da sottolineare. La crisi dello Sri Lanka rimette in campo faglie interconfessionali che agitano già il Sud-Est asiatico, alla loro maniera, in scenari come la Birmania e l’India: mentre i nazionalisti portavoce della visione ispirata dal Buddhismo Theravada vedono fratture sempre più ampie aprirsi con le minoranze musulmane, indù e, appunto, cristiane. Senza pensare al mai sopito tema del separatismo Tamil. Lo Sri Lanka rischia di essere aperto a opposte destabilizzazioni se questo problema continuerà, aprendo a un effetto contagio regionale che può renderlo “laboratorio” delle nuove forme di instabilità che caratterizzano il mondo della scarsità alimentare e delle tensioni a geometria variabile.

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