Il commercio, il 5G, la posizione del Vaticano, l’Europa presa d’assalto dal Dragone. Sono tantissimi i temi contenuti nel dossier di Mike Pompeo, braccio destro di Donald Trump appena sbarcato in Italia per cercare, tra le altre “missioni”, di mettere ordine in un Paese a detta di Washington troppo sbilanciato verso Pechino. A prima vista il principale obiettivo del Segretario di Stato Usa sembrerebbe dunque essere uno: ricevere rassicurazioni sulla fedeltà italiana.
Una fedeltà che nel recente passato è stata messa a dura prova dalla firma del Memorandum d’Intesa sulla Nuova Via della Seta – l’accordo di cooperazione messo nero su bianco da Roma e Pechino – dall’eccessiva apertura italiana agli investimenti cinesi in settori considerati sensibili, come le reti di nuove generazioni, e, più in generale, dal ripetuto supporto sanitario ricevuto dal governo giallorosso nelle fasi più critiche della pandemia di Covid-19.
In realtà il viaggio di Pompeo serve anche a mettere in chiaro la posizione americana in relazione al possibile rinnovo dell’accordo sulla nomina dei vescovi tra Cina e Vaticano. Non a caso il monito ripetuto più volte dall’emissario della Casa Bianca è stato uno: Italia e Santa Sede non abbassino la guardia nei confronti della Cina. Anzi: il più delle volte Pompeo ha usato il termine “Partito Comunista cinese” in sostituzione del nome del Paese asiatico, come a voler sottolineare la negatività dell’intrattenere rapporti con il Dragone.
Il punto di vista americano è semplice. Gli Stati Uniti sono preoccupati che il soft power cinese possa definitivamente fare breccia nell’Italia, per poi diffondersi in tutto il continente europeo. In quel caso l’America si troverebbe costretta a convivere in Europa con un’ombra scomoda, quella della Cina, o, nella peggiore delle ipotesi (al momento remota), perdere l’intera posta in gioco. Non solo: qualora Santa Sede e Pechino rinnovassero il citato accordo sulla nomina dei vescovi, la Cina troverebbe nel Vaticano un’importantissima sponda per rilanciare la propria immagine nel mondo.
La scomoda posizione di Roma
“Il Partito Comunista cinese sta cercando di sfruttare la presenza economica in Italia per scopi strategici, non sono qui per fare partenariati sinceri di reciproco interesse”, ha spiegato Pompeo, che ha quindi esortato il governo italiano “a considerare in maniera attenta la sicurezza nazionale e la riservatezza dei dati dei propri cittadini”. La politica degli Stati Uniti nei confronti della Cina è abbastanza chiara: gli attori che “possono mettere fine al regime autoritario del Partito comunista cinese, devono farlo”.
Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha dato una risposta che probabilmente non soddisferà Pompeo. L’Italia è “saldamente ancorata agli Stati Uniti e all’Unione europea, cui ci uniscono i valori e gli interessi comuni dei Paesi Nato”, ma Roma non ha intenzione di sacrificare sull’altare le possibili opportunità derivanti dall’intrattenere una relazione con la Cina. “È evidente che un Paese dinamico come il nostro sia aperto agli investimenti”, ha aggiunto Di Maio, riferendosi indirettamente anche ai possibili investimenti cinesi.
Se la fiducia americana nei confronti dell’Italia inizia a sgretolarsi, anche i cinesi stanno facendo i loro ragionamenti. La Cina ha investito molto nel rapporto con l’Italia, sia dal punto di vista economico che geopolitico. In effetti Roma è meno critica nei confronti del Dragone, rispetto a Berlino o Parigi. Eppure l’Italia dà la sensazione di non essere un Paese da prendere sul serio, che sia debole e disposto a cedere facilmente a pressioni esterne. Detto altrimenti: la visita di Pompeo potrebbe aver spaventato Pechino.
Il problema è che l’Italia rischia di ritrovarsi, come mai nel passato, intrappolata in mezzo a due fuochi. Il governo giallorosso prende tempo, rassicura gli Stati Uniti e al tempo stesso non intende chiudere la porta in faccia al Dragone. La politica estera italiana, insomma, non sembra volersi smuovere da questa posizione che, nei prossimi mesi, potrebbe diventare assai scomoda. Il rischio, infatti, è che sia Washington che Pechino possano perdere la fiducia nei confronti di Roma. E lasciare l’Italia con un pugno di mosche.
Lo scontro Usa-Vaticano
Se l’Italia non sembra intenzionata a fare chiarezza, neppure il Vaticano pare abbia voglia di seguire i consigli provenienti da Washington. Pompeo, invitato a un simposio organizzato dall’ambasciata Usa presso la Santa Sede, ha lanciato l’ennesima stoccata al nemico cinese, sottolineando l’importanza di garantire la libertà religiosa. Una libertà che “da nessuna parte al mondo è in pericolo come in Cina”.
Oggi (dopo le scintille delle ultime ore) Pompeo è arrivato in Vaticano per incontrare privatamente il Segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin. Ricordiamo che Parolin, a margine del simposio riguardante l’accordo tra Santa Sede e Cina, e rispondendo alle ipotetiche conseguenze per gli Stati Uniti, aveva usato parole al vetriolo. “Mi pare che usare questo argomento non sia opportuno per ottenere il consenso degli elettori. Perché è una questione che non c’entra niente con la politica, è una questione intraecclesiale, non si deve usare per queste finalità”: così si era espresso il cardinale, aggiungendo di non sapere quale ricadute avrebbe potuto avere su Washington un possibile accordo tra Vaticano e governo cinese.
In ogni caso, a pare le parole del Segretario Usa non faranno alcun effetto, almeno non nel breve periodo. Secondo quanto riportato da Repubblica, infatti, Papa Francesco sarebbe intenzionato a procedere al rinnovo dell’Accordo con la Cina sulla nomina dei vescovi. Tanto è vero che da Roma sarebbe in partenza una lettera formale con la quale la Santa Sede darebbe a Pechino la piena disponibilità alla firma dell’intesa. Entro il 22 ottobre il governo cinese, come appare probabile, potrebbe controfirmare la missiva per la definitiva fumata bianca.