Le relazioni tra Israele e Turchia sono particolarmente scostanti dal 2010, anno in cui dieci cittadini turchi a bordo della nave umanitaria Mavi Marmara furono uccisi dai militari israeliani mentre cercavano di rompere l’assedio su Gaza. Nel 2013 il premier Benjamin Netanyahu ha chiesto scusa alla Turchia per l’incidente e promesso di risarcire le famiglie delle vittime, ma gli interessi opposti dei due Paesi nella regione mediorientale hanno reso sempre complicati i rapporti tra Ankara e Tel Aviv. Di recente, lo scontro tra Recep Tayyip Erdogan e Benjamin Netanyahu si è spostato su Gerusalemme est e la Spianata delle Moschee.

Il negoziato per la Spianata delle Moschee

A inizio giugno il quotidiano israeliano Israel Hayom aveva rivelato che Israele e Arabia Saudita, grazie all’intermediazione degli Stati Uniti, avevano raggiunto un accordo segreto per inserire dei rappresentati sauditi all’interno del Consiglio di amministrazione della fondazione che gestisce le proprietà islamiche a Gerusalemme, detta Waqf. La mossa aveva irritato la Giordania, principale responsabile della gestione della moschea al-Aqsa, ma alla fine sembrava che Amman avesse ceduto alle pressioni israeliane e saudite per arginare la sempre più evidente influenza turca. Il problema, sempre secondo Israel Hayom, era rappresentato dai membri palestinesi presenti all’interno del Waqf, alcuni dei quali sono accusati di essere troppo legati alla Turchia e di aver favorito gli interessi turchi nella zona sacra della città di Gerusalemme. La notizia è stata smentita dal Waqf e il semplice fatto che a diffondere l’indiscrezione sia stato un giornale molto vicino al premier israeliano fa sorgere dei dubbi sulla sua totale attendibilità. Netanyahu infatti potrebbe aver gonfiato la notizia e aver quindi usato il quotidiano per lanciare un messaggio alla Turchia, facendo intendere al presidente Erdogan che il governo israeliano è pronto a prendere le contromisure necessarie per limitare l’influenza turca a Gerusalemme, e agli stessi palestinesi, sempre più legati ad Ankara.

Gerusalemme est

L’interesse della Turchia non si limita alla sola Spianata delle Moschee. Negli ultimi tempi Ankara è riuscita a insinuarsi anche nel tessuto sociale ed economico di Gerusalemme e in particolare della zona est – a maggioranza araba e musulmana – grazie all’Agenzia turca per la cooperazione (TIKA). L’associazione opera su diversi fronti che vanno dall’acquisto e ristrutturazione di case e monumenti storici, alla distribuzione di cibo alle famiglie bisognose, fino all’organizzazione di campi estivi per bambini passando per la donazione di fondi per l’apertura di piccole attività commerciali gestite da cittadini arabi. Quella che a prima vista sembrerebbe una normale organizzazione umanitaria, è però percepita come una minaccia crescente dalle autorità israeliane: il vero obiettivo del TIKA – e di Erdogan – è in realtà quello di cooptare la popolazione palestinese presente a Gerusalemme e di promuovere le idee dei Fratelli Musulmani.

Una strategia che rientra nel più grande piano di implementazione del neo-ottomanesimo che il presidente turco sta portando avanti in Medio Oriente. Non è quindi un caso che le attività del TIKA e dei suoi affiliati siano da tempo sotto osservazione da parte dei servizi di sicurezza israeliani e della polizia, come dimostra un episodio di alcuni giorni fa. A fine giugno, le forze dell’ordine hanno rimosso una targa apposta all’entrata del lo storico cimitero di Yusufiye in cui si segnalava che l’area era stata ristrutturata con i fondi del TIKA. Secondo le autorità israeliana, l’associazione non aveva ricevuto l’autorizzazione per l’affissione. Il caso, che può sembrare di per sé banale, dimostra quanta attenzione sia dedicata da polizia e Shin Bet alle mosse turche a Gerusalemme. Il Governo israeliano tuttavia non è ancora riuscito ad arginare come vorrebbe l’espansione di Ankara e il piano volto a contenere l’influenza turca è ancora in discussione. A metà del 2019 l’allora ministro degli Esteri Kantz aveva proposto una serie di misure da presentare al Consiglio dei ministri e che prevedevano prima di tutto la messa al bando dei Fratelli Musulmani e la restrizione delle libertà del TIKA, che avrebbe dovuto coordinarsi costantemente con le autorità israeliane prima di procedere con i propri progetti.

Ad oggi però non ci sono particolari limitazioni alle attività dell’Associazione e la Turchia vede crescere costantemente il proprio consenso all’interno della popolazione araba musulmana, a discapito non solo degli interessi israeliani, ma anche dei altri Paesi arabi. Ankara infatti sta assumendo sempre di più il ruolo di protettore della causa palestinese, sostituendo quegli Stati che storicamente hanno ricoperto il ruolo di interlocutori dei movimenti di liberazione.

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