La Francia da un lato, la Germania dall’altro, l’Unione europea a completare il triangolo. La gabbia ideata per tenere l’Italia fuori dalle trattative che contano – per giunta con un soggetto di tutto rispetto, con il quale Roma aveva avviato un dialogo promettente, bruciando il resto d’Europa – si è stretta attorno al governo giallorosso. Il tema è l’accordo sugli investimenti tra l’Ue e la Cina, il cosiddetto CAI (Comprehensive Agreement on Investment), che potrebbe entrare in vigore nel 2022, previa ratifica.

La fumata bianca – a dire il vero inaspettata, visti i venti che soffiavano – è arrivata dopo sette anni di trattative, al termine di un anno complicatissimo. Non solo per la guerra dei dazi mossa da Donald Trump contro Xi Jinping, e le conseguenti tensioni sino-americane, ma anche e soprattutto per la pandemia di Covid-19. Ricordiamo, giusto per fare un esempio, le accuse incrociate sulle presunte responsabilità cinesi, sui ritardi delle autorità di Wuhan – che avrebbero tenuto nascoste informazioni vitali – e via dicendo. Insomma, il clima non era affatto dei migliori. Eppure, con un colpo di coda in extremis, il duo formato da Angela Merkel ed Emmanuel Macron è riuscito a portare a casa un colpo da novanta.

L’asse franco-tedesco colpisce ancora

Al netto dei contenuti dell’accordo – che, come detto, dovrà essere ratificato – è importante soffermarci sul significato geopolitico dell’intesa. Meglio ancora: su come è arrivata la fumata bianca. Già, perché nel monitor delle trattative c’erano Ursula von der Leyen e Charles Michel, Merkel e Macron, ma non Giuseppe Conte.

Due sono le considerazioni da fare. La prima: non si capisce il perché della presenza del presidente francese. C’è chi ha parlato di un ipotetico favore restituito dalla Cancelliera tedesca. Anche se la sensazione – non vi è certezza assoluta – è che Macron sia riuscito semplicemente a inserirsi laddove si stava creando una questione rilevante da condurre in porto. D’altronde conosciamo le ambizioni del Capo dell’Eliseo, le sue velleità di voler essere il leader dell’Europa, di essere l’uomo capace di trovarsi sempre al posto giusto nel momento giusto.

In ogni caso, qualunque sia il vero motivo, la realtà parlava chiaro: di fronte a Xi c’era il faccione di Macron. Non quello di Conte. E qui arriviamo alla seconda considerazione: il presidente del Consiglio italiano, il primo e unico leader del G7 a stendere il tappetto rosso al presidentissimo cinese e a firmare il MoU sulla Belt and Road Initiative, è riuscito a farsi tagliare fuori. O, molto più probabile, è stato tagliato fuori cadendo proprio nella trappola franco-tedesca.

Le ambizioni di Macron

Le conseguenze della terza fila coperta dall’Italia nella partita tra Bruxelles e Pechino – se tutto va bene, Berlino e Parigi hanno superato Roma – potrebbero ridimensionare il ruolo del Belpaese agli occhi della Cina. Spieghiamo meglio: i media cinesi applaudono allo storico risultato raggiunto. Per loro, l’accordo con l’Europa, è un vero e proprio trionfo su tutti i fronti. Commerciale, certo, ma anche geopolitico. Gli Stati Uniti, infatti, pensavano di poter fare muro assieme alla cara, vecchia Europa per stoppare le ambizioni del Dragone. Così non è stato, visto che l’Ue, senza neppure attendere l’insediamento di Joe Biden, è andata dritta per la sua strada verso l’Oriente.

La Cina puntava – e continua a puntare – molto sul rapporto con l’Italia. Il fatto è che, complice l’immobilismo di Conte, Macron e Merkel sono riusciti a offuscare la stella del premier italiano. Sono stati loro a dirigere la partita con la Cina in nome di tutta l’Europa. E, sempre loro, potrebbero, di fatto, decidere la prossima inclinazione commerciale del continente nei confronti del gigante asiatico. Detto altrimenti, l’Italia conterà come il due di picche.

Il futuro non si preannuncia affatto roseo per le (timidissime) ambizioni italiane, visto che Merkel si prepara a lasciare le redini della politica e, quando sarà il momento, tutti i riflettori saranno presumibilmente puntati su Macron. La Francia, inoltre, assumerà la presidenza del Consiglio dell’Ue proprio nel periodo in cui dovrebbe entrare in vigore il nuovo patto d’investimenti con Pechino. Unendo è i punti, è facile ipotizzare quanto potrebbe accadere nei prossimi mesi: Parigi rischia seriamente di diventare il perno europeo delle relazioni tra il vecchio continente e la Cina. In barba all’Italia e al suo accordo sulla Nuova Via della Seta.





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