Mercoledì 18 aprile in occasione di una conferenza stampa fissata per parlare della tragedia umanitaria in Yemen, diverse organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani hanno annunciato di aver presentato un esposto alla Procura di Roma nei confronti di alcuni funzionari del ministero degli Esteri italiano, denunciati per aver concesso la vendita di armi italiane all’Arabia Saudita, che prontamente vengono usate contro i ribelli sciiti Huthi in Yemen e che colpiscono anche l’indifesa popolazione yemenita. Non solo il ministero degli Esteri, ma anche l’azienda Rwm Italia – filiale del gigante teutonico dell’industria degli armamenti Rheinmetall – e infine l’Autorità Nazionale per le autorizzazioni all’esportazione di armamenti (UAMA) sono state tirate in causa.
L’azione legale è stata avviata dal European Center for Constitutional and Human Rights (ECCHR), dalla Mwatana Organization for Human Rights con sede nello Yemen, e dalla Rete Italiana per il Disarmo , realtà che si occupa di monitorare il ruolo dell’Italia nelle esportazioni di armi e che prenderà in considerazione la responsabilità penale delle autorità e delle società coinvolte. Perché secondo le organizzazioni la vendita di armi ai sauditi non è solo immorale, ma anche illegale.
Secondo i rappresentanti delle organizzazioni internazionali “nonostante le denunce delle violazioni dei diritti umani e sull’impatto devastante del conflitto armato in corso sulla popolazione, l’Italia continua ad esportare armi verso i membri della coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita; non solo in pieno contrasto con quanto previsto dalla Legge italiana n. 185/1990, che vieta l’esportazione di armi “verso paesi in conflitto armato”, ma anche contro gli obblighi comuni derivanti dalle norme UE sul controllo delle esportazioni e in barba alle prescrizioni contenute nel Trattato internazionale sul Commercio di Armi ratificato all’unanimità dall’Italia.”
Come ricordato recentemente su questa testata da quando è cominciato il conflitto in Yemen nel 2015 sono morte 6.800 persone, 22 milioni non hanno possibilità di nutrirsi in maniera appropriata e 2,8 milioni di cittadini sono stati costretti ad abbandonare le loro case. Nel 2015 solo scuole e ospedali hanno subito 101 attacchi e dopo il bombardamento di due infrastrutture di Medici Senza Frontiere – il primo avvenuto il 2 dicembre 2015, il secondo il 15 agosto 2016 – l’associazione umanitaria è stata costretta ad abbandonare sei ospedali nel nord dello Yemen perché troppo a rischio. A completare un quadro di disperazione come questo, si aggiunge l’epidemia di colera che sta colpendo il Paese e devastando una popolazione allo stremo delle forze.
Le forze armate saudite da anni stanno conducendo una campagna di bombardamenti nello Yemen contro i ribelli sciiti Houthi, tra l’altro con il sostegno militare e logistico di consiglieri militari britannici e statunitensi; gli Stati Uniti nel 2016 hanno anche colpito da una loro nave militare di stanza nel golfo di Aden tre postazioni Huthi, decidendo quindi di attaccare direttamente a fianco dei loro alleati sauditi.
Le manifestazioni (poche) per denunciare la tragedia umanitaria in corso in Yemen e per evitare che i governi europei vendano armi al regno dei Saud non hanno mai sortito alcun effetto. Questa volta però l’iniziativa legale promossa davanti alla magistratura di Roma dalla Rete Italiana per il Disarmo, dall’organizzazione tedesca European Center for Constitutional Human Rights e da quella yemenita Mwatana Organisation for Human Rights potrebbe avere una certa dose di successo: la denuncia infatti prende in analisi non la vendita di armi ai sauditi sul piano generale, bensì un singolo evento, il massacro di un’intera famiglia di sei persone, tra cui quattro bambini, avvenuto nello Yemen l’8 ottobre 2016 e provocato da un ordigno prodotto appunto dall’azienda Rwm Italia; i denuncianti chiedono che il magistrato convochi per chiarimenti i funzionari del ministero degli esteri italiano che hanno autorizzato l’esportazione e la vendita ai Sauditi di questo ordigno, nonché i massimi dirigenti della società che lo ha prodotto.
Difficile pensare che la denuncia possa effettivamente portare a una condanna verso i funzionari italiani, certo se ciò accadesse il caso portato avanti dalle organizzazioni internazionali rappresenterebbe sicuramente un precedente per nulla indifferente nel campo delle esportazioni di armi, soprattutto verso paesi impegnati in un conflitto e ai quali quindi, per il diritto internazionale, non si può (non si potrebbe) vendere armi. Viene spontaneo chiedersi, se potessero essere perseguibili, cosa accadrebbe all’ex presidente Obama (premio Nobel per la Pace) e alla sua amministrazione, che insieme hanno venduto ben 110miliardi di dollari ai sauditi. Una delle più grandi vendite di armi nella storia americana.
Intanto Mohammad bin Salman, dopo aver lanciato il progetto Vision 2030 , continua a stringere legami con gli attori più importanti del palcoscenico internazionale. Dopo aver visitato gli Stati Uniti è atterrato in Francia dove con Macron – dopo aver firmato accordi per un valore di 18miliardi di dollari – è stato annunciato di voler lanciare un nuovo “partenariato franco-saudita“. Insomma, tranne qualche piccola – e sacrosanta – lamentela, è difficile credere che i governi occidentali smetteranno di vendere armi ai sauditi. E le grida di aiuto dallo Yemen diventano sempre più flebili alle orecchie europee ogni volta che si firmano accordi miliardari con Riad.