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L’Afghanistan è tornato sotto il giogo talebano, ed ora Kabul è alla disperata ricerca di consenso e legittimazione per cominciare a governare un Paese e mettere a sistema le risorse disponibili: fondamentalmente c’è una nuova nazione da costruire, sotto l’egida della shari’ah, e ai talebani serve l’aiuto internazionale.

Cina, Russia, Pakistan, Iran, Arabia Saudita e Qatar si sono dette immediatamente disponibili al dialogo con gli “studenti” coranici, che dopo vent’anni hanno riacquistato il potere – in modo oltremodo rapido – e che si dimostrano essere molto diversi da quelli di un tempo. Intendiamoci: le prevaricazioni in nome del fondamentalismo religioso non sono praticamente cambiate, ma è cambiata la loro postura mediatica e diplomatica. Ora i talebani hanno capito che per avere legittimazione serve mostrarsi “aperti” alla cooperazione, serve avere una propaganda mediatica efficace che mostri il loro “volto buono”. Espedienti funzionali alla realpolitik occidentale che, volenti o nolenti, avrà la sua vittoria finale e, come abbiamo già avuto modo di dire, nel medio/lungo periodo riporterà Stati Uniti e Occidente in Afghanistan, questa volta senza le armi.

Quel Paese è infatti strategico non solo per le sue risorse minerarie, ma perché posto nel cuore dell’Asia Centrale, oggi sede di incroci commerciali e strategici fondamentali nel quadro dell’economia globale e del suo controllo. Per questo, se vogliamo evitare di perdere terreno rispetto alla Cina (e anche alla Russia sebbene in modo minore), saremo costretti a guardare alla Kabul talebana.

Questa ricerca del consenso internazionale, e di accordi con gli Stati Uniti stipulati già in fase di “guerra” – ricordiamo Doha ma anche gli ultimi patti di “non aggressione” durante il ritiro di agosto – hanno però allontanato definitivamente i talebani dalle simpatie del mondo del terrorismo di matrice islamica, che ora potrebbe avere un’entità catalizzante nello Stato Islamico della Provincia di Khorasan, anche noto come Iskp o Isis-K.

Cos’è l’Iskp

L’Iskp nasce ufficialmente nel 2014 a Jalalabad da Hafiz Saeed Khan, pakistano, comandante veterano del Tehrik-e Taliban Pakistan (Ttp), che ha portato con sé altri importanti membri del Ttp tra cui il portavoce del gruppo Sheikh Maqbool e molti capi distrettuali, quando inizialmente aveva promesso fedeltà ad al-Baghdadi nell’ottobre di quell’anno. Il gruppo è cresciuto rapidamente, un po’ secondo la moda del tempo, utilizzando reti di reclutamento consolidate in Afghanistan e Pakistan, e grazie all’appoggio della leadership centrale dello Stato Islamico in Iraq e Siria.

Il gruppo, attivo in Afghanistan e Pakistan, ha come strategia quella di cercare di delegittimare i governi e degradare la fiducia della popolazione nei processi democratici, seminando instabilità negli stati-nazione, che il gruppo considera illegittimi. I talebani si sono più volte scontrati con i nuovi arrivati, soprattutto nella zona di Nangarhar e nella provincia settentrionale di Jowzjan, ed ora, con la loro vittoria finale e conquista del Paese, si trovano a dover gestire l’insorgenza di una nuova stagione di terrorismo da parte dell’Iskp, che ha tutte le carte in regole per attirare jihadisti da ogni dove proprio per via della linea “morbida” dei talebani verso l’occidente.

Iskp e talebani

Gli “studenti” coranici vengono infatti definiti come dei traditori dall’Iskp, che vede l’occasione di proiettarsi a leader del radicalismo islamico nella difficile galassia jihadista. Molto probabilmente, quindi, raccoglierà esuli provenienti da al-Qaeda e da altre sigle terroriste che coglieranno l’occasione per ricominciare la lotta in modo coordinato, stavolta con la prospettiva di una nuova guerra per il controllo dell’Afghanistan tra gruppi jihadisti.

L’attuale nucleo di combattenti dell’Iskp è costituito da disertori dei talebani afghani e pakistani e dalla rete Haqqani. Nonostante l’inimicizia condivisa dai gruppi per l’Occidente e l’aver abbracciato un Islam sunnita radicale, il gruppo è un nemico giurato dei talebani. L’Iskp ha rivendicato infatti l’attentato suicida all’aeroporto di Kabul del 26 agosto scorso, durante le concitate fasi di evacuazione, che ha ucciso 13 soldati statunitensi e più di 200 afgani.

Molti gruppi di militanti jihadisti, in particolare uzbeki, tagiki, uiguri e turkmeni presenti in Afghanistan e in Asia Centrale, non vedono più il motivo di seguire i talebani e cercheranno di unirsi all’Iskp. Anche i combattenti talebani più estremisti, soprattutto nell’est del Paese, non accettano la nuova autorità di Kabul e molto probabilmente passeranno coi terroristi.

Si stima che il gruppo conti circa 2mila combattenti che operano indifferentemente tra Afghanistan e Pakistan, dove hanno avuto, al pari dei talebani, i loro “santuari”. Secondo la missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan, l’Iskp ha effettuato 77 attacchi nei primi quattro mesi di quest’anno ma soprattutto i loro assalti stanno crescendo in frequenza e ferocia: il ritiro degli Stati Uniti e della Nato, infatti, più che il crollo del precedente governo afghano, ha dato al gruppo terrorista l’opportunità di espandersi e acquistare vigore, stante l’incapacità dei talebani ad attuare il contrasto al terrorismo e all’insurrezione, qualcosa che, sino a qualche settimana fa, erano loro a mettere in atto.

Gli attori regionali preoccupati dal terrorismo

Nella regione quindi si prospetta un riassetto generale di alleanze, anche controverse, che riguarderà in primis gli attori locali: Iran, Pakistan, Russia e Cina.

L’Iran, come abbiamo già avuto modo di analizzare in modo approfondito, ha cinicamente supportato i talebani – che ricordiamo sono espressione del sunnismo radicale – in chiave antistatunitense, ma ora si ritrovano con un regime potenzialmente filosaudita alle loro porte che è tornato a perseguitare la minoranza Hazara. Qualcosa di cui dovranno tenere conto se intendono affiancarsi a Kabul nella sua lotta contro l’Iskp, visto anche da Teheran come un nemico da sconfiggere: il gruppo Khorasan minaccia anche l’Iran in quanto una cellula dello Stato Islamico ha compiuto attentati coordinati nella capitale del Paese che hanno ucciso 17 persone nel giugno 2017.

Anche se non c’è affatto “corrispondenza di amorosi sensi” tra Iran e talebani, le circostanze obbligheranno Teheran ad agire in modo pragmatico per allontanare lo Stato Islamico. L’attività del gruppo jihadista nel Paese, inoltre, fornisce all’Iran un utile pretesto per mantenere una presenza nell’area e costringe a rivedere i toni del suo sostegno agli Hazara, o quantomeno a offrire aiuto ai talebani in cambio della cessazione delle persecuzioni.

In Pakistan, come abbiamo già avuto modo di accennare, è presente la principale rete di reclutamento dell’Iskp, oltre a quella riguardante il sostegno finanziario che si basa principalmente su donazioni provenienti in particolare dalla Turchia e dall’Arabia Saudita attraverso gruppi come Abtal-ul-Islam. Lo Stato Islamico riceve fondi direttamente anche da simpatizzanti in Pakistan: diversi suoi sostenitori sono stati arrestati a Karachi nel 2015, rivelando una rete di professionisti della classe media che facevano regolarmente donazioni al gruppo. Le autorità pakistane hanno scoperto una rete simile, formata da donne, anche a Lahore nel dicembre dello stesso anno.

L’aspetto più pericoloso della minaccia dell’Iskp per il Pakistan è la sua capacità di creare una nicchia di sostegno tra la generazione istruita e più giovane di jihadisti nel Paese. Ideologicamente, l’Iskp è un gruppo militante salafita-takfiro che ha come obiettivo non solo gli sciiti (quindi avverso all’Iran) ma lotta anche contro i musulmani sufi. Questo è il motivo per cui ha effettuato azioni in Pakistan, compiendo attacchi contro sciiti, nonché a santuari sufi. Il Pakistan teme che se il gruppo guadagnerà ulteriormente consenso nel panorama jihadista, e il carattere del conflitto settario nel Paese si trasformerà qualitativamente dalle dinamiche sunniti-sciiti a quelle delle divisioni intra-sunnite, pertanto viene visto da Islamabad come una minaccia regionale che richiede sforzi congiunti e concertati per contrastarla.

Senza dimenticare che i talebani sono, fondamentalmente, una creazione dell’Isi, il potente servizio segreto pakistano, e che con essi al potere in Afghanistan Islamabad si è assicurata quella profondità strategica di cui aveva bisogno per il suo contrasto all’India: eliminare la minaccia dello Stato Islamico, quindi, non rappresenta solamente una questione di sicurezza interna. Per farlo siamo convinti che il Pakistan cercherà il massimo sostegno internazionale possibile, guardando primariamente al nuovo alleato, la Cina, ma anche tollerando la presenza iraniana se pur coi dovuti distinguo.

Proprio la Cina sembra essere uno degli attori più interessati ad avere legami coi talebani principalmente per questioni legate alle vie commerciali, alla costruzione di nuove infrastrutture e allo sfruttamento minerario, ma anche per il controllo del terrorismo islamico. Non dimentichiamo che, come detto, tra i membri dell’Iskp sono presenti uiguri, ovvero facenti parte di quella minoranza islamica che si trova nello Xinjiang, una regione della Cina occidentale. Pechino teme che i talebani possano non essere efficaci nel controllo dell’attività dei terroristi e che quindi si avvii una stagione di recrudescenza dell’attività insurrezionale che potrebbe destabilizzare la sua provincia orientale, distogliendo risorse preziose dai suoi interessi globali concentrati nell’espansione verso l’Indopacifico della sua sfera di influenza.

Anche per questo la Cina ha cercato l’appoggio di un’altra potenza regionale che teme, parimenti, il risorgere di instabilità e moti indipendentisti di matrice islamica che potrebbero provocare un effetto domino in quella che è la sua sfera di influenza: la Russia. Mosca è seriamente preoccupata da questa possibilità tanto che sta stringendo ulteriormente i legami con quegli Stati che facevano parte delle ex repubbliche socialiste dell’Asia Centrale. Legami di tipo prettamente militare volti a stabilire un meccanismo comune di controterrorismo e counter insurgency, ovvero un sistema capace di sedare ed eliminare immediatamente qualsiasi tentativo di ribellione che potrebbe portare a uno scenario di tipo ceceno nel cuore dell’Asia.

Entrambi i Paesi, sebbene abbiano “aperto le porte” ai talebani proprio per queste considerazioni, sembrano però restare piuttosto guardinghi e prendono tempo prima di schierarsi definitivamente dalla parte di Kabul: soprattutto Mosca sa bene che non esiste un’unica anima afghana e che anche tra i talebani esistono diverse correnti che molto facilmente – e improvvisamente – possono entrare in lotta tra di loro e decidere, di punto in bianco, di schierarsi perfino dalla parte opposta, quindi dalla parte dei terroristi. Il mosaico è quindi complesso, il nuovo Grande Gioco afghano è tutt’altro che semplice ed è parimenti difficile poter fare delle previsioni in questa fase di stabilizzazione.