Dopo quasi due mesi di interrogazioni parlamentari e dopo quattro di incessabili proteste che hanno destabilizzato Baghdad e i territori meridionali del Paese, l’Iraq ha finalmente un nuovo primo ministro in grado di prendere in mano le redini della situazione. Il suo nome è Mohammed Allawi: rappresentante della popolazione sciita e veterano della politica irachena post destituzione di Saddam Hussein, nella sua carriera ha ricoperto due volte l’incarico di ministro alle comunicazioni. Tuttavia, nessuna delle due volte l’incarico è durato sino alla scadenza del mandato a causa delle sue dimissioni, dovute ai contrasti con il resto del gabinetto e causate dalle nomine dei collaboratori, scelti a suo dire per conoscenza e non per le loro reali capacità. La nomina della sua figura è stato un chiaro segnale lanciato dal presidente del Paese, Barham Saleh, nei confronti della popolazione dell’Iraq.

Lotta alla corruzione ed elezioni anticipate

Come affermato nella conferenza stampa televisiva e riportato dalla testata giornalistica The Guardian, il perno al quale ruota il suo incarico è identificato nella stabilizzazione dell’attuale situazione del Paese che, con il suo iterarsi, sta danneggiando anche l’economia stessa dell’Iraq. Per fare questo, secondo Allawi, è necessario combattere la corruzione che tedia il Paese da oltre 15 anni, cercare il dialogo con la popolazione manifestante per far rientrare la crisi e soprattutto mettere il Paese nelle condizioni di andare al voto nel più breve tempo possibile. Il suo compito, dunque, è quello di traghettatore verso la prossima consultazione elettorale che potrà definire una figura più vicina alle volontà della popolazione irachena.

Il distacco tra i rappresentanti politici e la popolazione è infatti aumentato notevolmente negli ultimi anni, con il 2019 che, sotto il governo di Adel Abel Mahdi, ha segnato il culmine dei malumori della popolazione. La nomina della figura di Allawi, dato anche il suo passato non sempre allineato neppure con i suoi compagni di partito, è stata un tentativo di apertura nei confronti della popolazione: ipotesi che è stata comunque respinta a gran voce dai partecipanti alle proteste, che non vedono in lui una figura di svolta.

Dopo quattro mesi di proteste, Allawi si ritrova un’Iraq profondamente diverso rispetto a quello scorso anno, con il rischio che la situazione continui a peggiorare ulteriormente. In assenza di misure drastiche e repentine per far rientrare la proteste, la quasi totalità dell’apparato pubblico dei territori confinanti con l’Iran e l’economia della regione rischiano la totale distruzione, con l’orizzonte di lunghi anni di lavoro per riportare la situazione allo stadio iniziale.

Le richieste del popolo iracheno

Dopo la destituzione di Saddam e la crisi legata alla nascita dello Stato islamico nel Nord del Paese, il popolo iracheno ha vissuto perennemente sotto la presenza di forze militari straniere, interpretata a tutti gli effetti come un’occupazione militare. L’appoggio governativo alle mosse militari estere nei confini dell’Iraq hanno spinto il popolo a vedere il governo centrale come complice degli interessi stranieri, allontanando il ceto politico dalla popolazione del Paese. In questo scenario, le recenti escalation di tensioni tra Stati Uniti d’America e Iran hanno peggiorato ulteriormente i rapporti tra il governo centrale e la fazione sciita, rendendo la spaccatura ormai inconciliabile.

Le richieste del popolo sono tanto semplici quanto chiare: gli Usa devono andarsene dalla regione ed insieme a loro tutto l’attuale ceto politico dirigente, invischiato con gli interessi di Washington in Medio Oriente. Una qualsiasi soluzione intermedia, allo stato attuale, non può essere interpretata come un’apertura verso le richieste dei manifestanti, aumentando le possibilità che anche il governo di Allawi alla fine non possa che avere vita molto breve.

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