“Morte all’America“. I deputati iraniani in Parlamento a Teheran urlano queste parole mentre bruciano una bandiera Usa. È questa una delle prime reazioni all’annuncio del’uscita dall’accordo di Washington sul nucleare. Rabbia, sì, ma anche paura. Paura per un’economia che peggiora di giorno in giorno. Per una valuta che sta precipitando. Per quei prezzi che nelle città stanno letteralmente schiacciando i cittadini delle Repubblica islamica. La crisi che attraversa l’Iran è un male profondo che non risparmia nemmeno le campagne, devastate da una siccità che va avanti da cinque anni.

Un’ancora di salvezza. Era così che il presidente Hassan Rohani aveva presentato al Paese l’accordo sul nucleare. Un accordo che avrebbe dovuto finalmente aprire le porte dell’Occidente all’economia iraniana – limando man mano l’isolamento del Paese – e portando ingenti investimenti esteri, lavoro, opportunità. Ora, quello che rimane, è solo un grosso punto di domanda.
Economia al collasso, mancanza di libertà e prospettive. Per non parlare del malcontento popolare, già ben radicato negli ultimi anni, che ora subirà un’impennata . “Vedremo più immigrazione, più disoccupazione, più fallimenti, più povertà”, ha detto al New York Times Amirhossein Hasani, un commerciante iraniano che una volta produceva attrezzature da cucina e che ora cerca più che altro di sopravvivere. “Alcuni potrebbero pensare che questo porterà a un cambio di regime, ma le proteste saranno fermate e il governo sarà in grado di governare il Paese ancora. Diventeremo solo più poveri.”
Il ripristino delle sanzioni Usa
“Istituiremo il massimo livello di sanzioni economiche“. Con queste parole Donald Trump, 15 mesi dopo il suo arrivo alla Casa Bianca, ha annunciato l’addio all’intesa che nel 2015, sotto l’amministrazione del suo predecessore Barack Obama, era stata siglata da Teheran con i Paesi del 5+1 (cioè Usa, Cina, Russia, Regno Unito, Francia e Germania). Passano pochi minuti e il presidente iraniano, Hassan Rohani, compare alla tv di Stato e minaccia di riavviare al più presto l’arrichimento di uranio.
La svolta di Washington solleva grossi interrogativi anche per gli alleati europei. “Tutti i Paesi che aiuteranno l’Iran sul nucleare potrebbero essere fortemente sanzionati dagli Usa”, ha dichiarato Trump. E infatti sono proprio le sanzioni secondarie Usa – ovvero quelle coinvolgono soggetti terzi (tra cui anche europei) – quelle che il presidente americano vuole reintrodurre.
Per capire quali potranno essere le conseguenze dell’uscita Usa dall’accordo bisogna fare un passo indietro. Come riportato dal Sole24ore, il disgelo con Teheran aveva scatenato una corsa da parte delle aziende europee e americane per rientrare nel mercato iraniano. Con ingenti investimenti in infrastrutture e aeronautica, la corsa ha portato alla creazione di numerosi nuovi posti di lavoro. In Iran, sì, m anche negli Usa. Solo per fare un esempio: lo scorso dicembre Boeing ha ottenuto una commessa da 16 miliardi per la consegna di 80 aerei alla compagnia di bandiera iraniana. Un affare che potrebbe, o a questo punto avrebbe potuto, tradursi in ben 100mila posti di lavoro negli Usa.
Come riportato dall’Ispi, le disposizioni in scadenza il 12 maggio riguardavano sostanzialmente sanzioni bancarie collegate a tutte le transazioni finanziarie in cui è coinvolta la Banca Centrale iraniana (Cbi) o altre istituzioni finanziarie iraniane designate. “Esse ricadono quindi su tutti quei paesi che acquistano petrolio iraniano, bene il cui commercio passa obbligatoriamente attraverso la Cbi”, scrive l’Istituto di Ricerca. Tenendo in considerazione questo, più il fatto che nella Repubblica islamica il petrolio influisce per il 15% sul Pil, le conseguenze potrebbero essere disastrose. E non solo per un settore trainante come quello petrolifero. La sospensione delle sanzioni, infatti, aveva contribuito alla reintegrazione nel sistema finanziario internazionale. Un fatto che ha migliorato le condizioni per lo svolgimento delle attività commerciali anche in settori non legati all’oil&gas.
Secondo quanto dichiarato dal consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, il ripristino delle sanzioni Usa sarà immediato per i nuovi contratti, mentre per quelli vecchi avverrà dopo un periodo di transizione fra 90 e 180 giorni. La Casa Bianca intende procedere applicando il principio di extraterritorialità delle leggi americane in base al quale gli Usa possono sanzionare le imprese non americane che fanno affari con entità dei paesi sotto embargo se hanno rapporti con gli Stati Uniti o usano dollari per le transazioni.