L’ayatollah Ali Khamenei, massima autorità religiosa e politica dell’Iran, è tornato dopo otto anni a parlare durante la preghiera del venerdì, segnando così l’importanza del momento storico che sta vivendo il Paese, e nel lungo discorso tenuto durante il sermone spicca l’accusa di “tradimento” all’Europa, che con l’avvio del “meccanismo di risoluzione delle dispute” previsto dal trattato sul nucleare (il Jcpoa), si allinea alla politica di Washington.
Come diretta conseguenza Teheran riprenderà l’arricchimento dell’uranio oltre i limiti espressi dal Jcpoa: il presidente Rohani ha infatti spiegato che “quando loro”, cioè gli altri firmatari dell’accordo e segnatamente gli Stati Uniti, la Francia, la Germania e il Regno Unito, “hanno ridotto i loro impegni, non siamo stati seduti, abbiamo ridotto anche noi i nostri impegni e oggi possiamo arricchire più uranio di prima del 2015”.
Il sermone di Khamenei
Come già detto erano otto anni che l’ayatollah non faceva sentire la sua voce durante la preghiera del venerdì, e Khamenei, durante il sermone di oggi, ha espresso la visione di Teheran in merito all’attuale situazione di crisi internazionale toccando diversi punti, tra cui proprio la questione del nucleare, oltre, ovviamente, all’uccisione del generale Qasem Soleimani e all’abbattimento del Boeing 737 ucraino.
Per Khamenei, come riportato da Reuters, non ci si può fidare dei tre Stati europei che fanno parte del trattato Jcpoa, dopo che Francia, Regno Unito e Germania hanno iniziato la procedura di risoluzione delle dispute come da articolo 36 del trattato. La procedura prevede che se una delle parti ritiene che una o più clausole del trattato non siano state rispettate può, in qualsiasi momento e dopo un iter burocratico della durata di circa un mese che vede il parere di una commissione nominata ad hoc (la Joint Commission), ritirarsi dallo stesso – in parte o in toto – previa notifica al Consiglio di Sicurezza dell’Onu che deve deliberare e considerare se continuare a non imporre le sanzioni.
Questo significa che l’Iran avrà la bomba atomica? Nonostante gli allarmi lanciati da Israele, la politica di Teheran non sembra indirizzata verso il possesso di armamenti di questo tipo, come ribadito proprio dallo stesso ayatollah lo scorso ottobre e annunciato tramite una fatwa già nel lontano 2003: allora l’ayatollah si era espresso dicendo che la produzione e l’utilizzo di armi di distruzione dio massa era proibito dalla legge religiosa.
Secondo Khamenei “la costruzione e l’accumulo di bombe nucleari è sbagliato e usarle è haram (proibito dalla religione n.d.r.)” ed in particolare “sebbene disponiamo di tecnologia nucleare, l’Iran l’ha strettamente evitato” ha sottolineato l’ayatollah a ottobre.
Rohani annuncia la ripresa dell’arricchimento
Parallelamente alle parole di Khamenei, il presidente Rohani ha annunciato che l’Iran riprenderà formalmente l’attività di arricchimento proprio a seguito dell’avvio della procedura di risoluzione delle dispute. “L’attuale situazione non mi piace, non è facile, ma dobbiamo essere consapevoli che oggi politica, sicurezza ed economia sono connessi” ha detto Rohani lasciando al ministro degli Esteri Javad Zarif il compito di lanciare il j’accuse alla politica ricattatoria americana.
Il riferimento è alla minaccia di Washington di elevare dazi sul settore automobilistico dei Paesi europei coinvolti nel trattato Jcpoa pari al 25% ed il ministro ha commentato su Twitter che Francia, Germania e Regno Unito si sono fatti “bullizzare” nella speranza di evitare i provvedimenti commerciali ma che non funzionerà: “Vi ricordate i bulli alle superiori se cedi li fai diventare ancora più aggressivi” ha aggiunto.
La scure ricattatoria dei dazi americani è stata confermata anche dal ministro della Difesa tedesco, Annegret Kramp-Karrenbauer, che, di ritorno dall’Iraq ha avuto modo di dire che “questa espressione o minaccia, qualunque cosa la vogliamo definire, esiste”.
Sino ad oggi, secondo i termini del Jcpoa, l’Iran era sottoposto a limitazioni sulla produzione di uranio arricchito e sulle attività ad esso collegate oltre ad altre che riguardano specificamente il campo della ricerca e sviluppo. In particolare la maggior parte delle centrifughe – ovvero quegli strumenti atti ad arricchire l’uranio – dovevano essere dismesse nel giro di 10 anni e l’Iran avrebbe potuto mantenere la propria capacità di arricchimento solo nel complesso di Natanz posto a circa 150 km a sud di Teheran. Il numero di centrifughe permesso dal trattato era di non oltre 5060 e la percentuale di uranio 235, l’isotopo utilizzato come combustibile nelle centrali, non doveva superare il 3,67%.
Sempre secondo l’accordo l’Iran doveva mantenere le proprie riserve di uranio arricchito entro i 300 chilogrammi e la quantità in eccesso doveva essere venduta in cambio del minerale grezzo (che di solito è l’uraninite o ossido di uranio) ad acquirenti internazionali secondo le norme che regolano il commercio di tale risorsa. Tutto il restante uranio arricchito nelle percentuali che vanno dal 5 al 20% andava convertito in combustibile per il reattore Trr (Teheran Research Reactor).
Più vicini alla bomba?
L’annuncio di Rohani sicuramente è la naturale conseguenza del cambiamento di posizione di Francia, Germania e Regno Unito rispetto agli impegni del trattato che, lo ricordiamo, è stato stracciato unilateralmente dagli Stati Uniti venendo così a creare la crisi che stiamo attualmente vivendo.
Washington, del resto, considerava il Jcpoa non soddisfacente per garantire la sicurezza del Medio Oriente in quanto – soprattutto – non venivano menzionati i sistemi missilistici che sarebbero in grado di trasportare eventuali ordigni nucleari.
L’Iran, sebbene l’ayatollah Khamenei abbia più volte affermato che non costruirà armamento atomico, è comunque in grado di fabbricarlo sebbene non in tempi brevi.
Una bomba atomica richiede uranio arricchito in percentuali maggiori rispetto a quello utilizzato come combustibile nelle centrali per la produzione di energia elettrica: 90% rispetto a una percentuale che va dal 3 al 5. Arricchire l’uranio a livelli tali da poter arrivare rapidamente alla fabbricazione di una bomba, richiede pertanto che venga aumentato il numero delle centrifughe, che venga prodotto più uranio e soprattutto che venga dato impulso agli studi, complessi, che riguardano la miniaturizzazione e le geometrie che innescano l’esplosione di una testata.
L’Iran, come affermato dall’avviso dell’intelligence israeliana, potrebbe quindi essere in grado di dotarsi di armamento atomico entro un periodo che va dagli uno ai due anni.
L’orgoglio iraniano
Quanto sta avvenendo evidenzia la strategia iraniana di voler mettere pressione sui Paesi europei facenti parte del Jcpoa per cercare di salvare il Jcpoa, che però sembra a tutti gli effetti ormai condannato all’oblio.
Se mettiamo insieme le parole di Rohani e quelle di Khamenei possiamo capire che la decisione di riprendere l’arricchimento sia funzionale proprio ad innalzare l’asticella della tensione con l’Occidente se pur esprimendo la volontà di non voler intraprendere la strada della costruzione di ordigni atomici.
Questa politica, che può sembrare aggressiva, è indicativa del sentimento che anima la classe politica di Teheran, che si sente erede di un impero millenario, quello persiano, e che quindi mal sopporta che l’Iran sia trattato come un Paese “burattino” nelle mani di altri attori internazionali. Un orgoglio che va considerato in sede diplomatica per evitare che Teheran possa, in futuro, cambiare la rotta espressa da Khamenei nella sua fatwa e decidere di dotarsi di un arsenale atomico.