La fisionomia della Repubblica Islamica iraniana sembra predisposta ad una sopravvivenza aggressiva, plasmata dalla continua necessità -percepita dai leader sciiti- di doversi difendere da nemici vicini e lontani. Per questo il clima di generale distensione regionale che la circonda non sembra cambiarne la natura e l’atteggiamento ostile dell’Iran resiste al trend di de-escalation e riconciliazione che sta coinvolgendo il Medioriente. Il posizionamento a guida dell’“asse della resistenza” e la pratica del sequestro di petroliere nel Golfo Persico irritano Israele e Stati Uniti, frenando in definitiva la rappacificazione dell’intera area.

La politica estera si dispiega nel Golfo

Nel giro di una settimana, tra la fine di aprile e l’inizio di maggio, la Marina iraniana (Irin) ha sequestrato due petroliere che transitavano nello Stretto di Hormuz e nel Golfo dell’Oman. Il primo caso che risale al 28 aprile scorso ha coinvolto la Advantage Sweet, una nave di proprietà cinese carica di greggio che Chevron, la big dell’energia americana, spediva in Texas. La motivazione del fermo, per molti pretestuosa, era che un presunto incidente marittimo con una nave iraniana la sera prima aveva reso necessario il sequestro per le indagini. Pochi giorni dopo, il 3 maggio, la superpetroliera Niovi battente bandiera panamense veniva sequestrata per ordine dell’autorità giudiziaria, come riporta DW News, mentre era diretta in un porto degli Emirati Arabi Uniti. Entrambi gli episodi sono riconducibili ad uno schema molto familiare di pressioni sanzionatorie americane e contropressioni iraniane. I sequestri iraniani si sono infatti verificati in risposta alla confisca da parte delle autorità americane della petroliera Suez Rajan, accusata di contrabbandare petrolio iraniano sottoposto a sanzioni da parte degli Stati Uniti, e alla recente sparizione di una seconda petroliera iraniana nel Sudest asiatico.

Nelle numerose occasioni di sequestro di petroliere nel Golfo a partire dal 2019, Teheran ha sempre cercato di giustificare le aggressioni (talvolta armate) con dispute commerciali nelle quali le navi in questione erano coinvolte o con presunte violazioni delle leggi marittime iraniane. In ogni caso, la cattura delle imbarcazioni cariche di petrolio diretto verso o di proprietà degli Stati Uniti rappresenta una sfida diretta alla policy americana nel Golfo.

Nel quadro di distensione e rappacificazione che sta investendo la regione, da molti giudicato con fiducioso ottimismo, le aggressioni iraniane rappresentano una causa di nuova instabilità che minaccia il Golfo e l’intera area. La preoccupazione sale ulteriormente alla luce del fatto che il graduale ripristino delle relazioni diplomatiche tra Arabia Saudita e Iran aveva riacceso la speranza che gli scontri periodici tra la Repubblica Islamica e le monarchie arabe del Golfo (tutte appoggiate dagli Stati Uniti) potessero terminare definitivamente. Dalla firma dell’accordo mediato dalla Cina di Xi Jinping lo scorso 10 marzo, i due Paesi hanno effettivamente riaperto le rispettive sedi diplomatiche e discusso sostanziali investimenti sauditi in Iran. Ovviamente, il principale conflitto per procura nella regione ha risentito positivamente di questi sviluppi: dopo anni di chiusura totale, i protetti di Iran e Arabia Saudita in Yemen hanno pattuito un cessate il fuoco per negoziare una pace duratura nel Paese devastato da otto lunghi anni di guerra civile.

La postura aggressiva in Palestina e Siria

Le aggressioni nelle acque del Golfo contraddicono radicalmente questo slancio diplomatico positivo, e vanno a sommarsi alle tensioni create dagli scontri armati tra Israele e le milizie palestinesi finanziate dall’Iran nella Striscia di Gaza e dal lancio di missili dal sud del Libano, zona largamente sotto il controllo di Hezbollah. Ancora prima, nel mese di marzo le forze americane e israeliane avevano attaccato milizie filo-iraniane stanziate in Siria dopo che queste avevano a loro volta colpito posizioni americane nell’est del Paese uccidendo un contractor americano.

Gli attacchi multiformi contro Israele non sono stati direttamente rivendicati dai Guardiani della Rivoluzione né dai leader iraniani, che tuttavia supportano le milizie palestinesi nel continuo sforzo per rinsaldare l’alleanza palestinese, libanese e iraniana ribattezzata “asse della resistenza” che si oppone allo Stato di Israele.

Mappa di Alberto Bellotto

In seguito agli scontri a fuoco israelo-palestinesi e nello stesso stesso del sequestro della Niovi, il presidente iraniano Ebrahim Raisi è giunto in visita a Damasco per consolidare le relazioni bilaterali con quello che è il suo principale governo alleato del mondo arabo, quello del presidente Bashar al Assad. La visita, che ha rappresentato la prima missione diplomatica iraniana in Siria dallo scoppio della guerra civile nel 2011, ha irritato ulteriormente il governo di Tel Aviv, che di recente ha intensificato gli attacchi aerei contro posizioni iraniane, in particolare di produzione militare, in territorio siriano.

È dunque prevedibile che i sequestri delle petroliere e la promozione dell’asse di resistenza guidato da Teheran contro Israele rinforzeranno le richieste del premier Benjamin Netanyahu per un’intensificazione dell’azione militare americana e israeliana contro Teheran, che miri specificatamente a indebolire la sua potenza in termini nucleari e di armi avanzate, puntando anche alle strutture che producono i droni armati che l’Iran vende a Mosca.

Cosa aspettarsi dagli Stati Uniti

I leader del Golfo guardano con ansia alla risposta di Washington agli attacchi iraniani: fungerà da indicatore del livello dell’impegno americano nella sicurezza del Golfo. Diversi analisti dell’area argomentano che la fiducia delle monarchie arabe nei confronti della Casa Bianca vacilla dal 2019.

Nel settembre di quell’anno, gli emiri del petrolio (compresi il principe Mohammad bin Salman, sovrano de facto dell’Arabia Saudita e Mohamed bin Zayed, presidente degli Emirati Arabi Uniti) si erano indignati per il rifiuto americano a rispondere militarmente all’attacco iraniano (per mano degli Houthi yemeniti) che con missili di crociera e droni armati aveva colpito duramente un impianto chiave di produzione del petrolio saudita. Da quel momento, i leader delle petromonarchie dubitano dell’effettiva volontà americana di proteggere il Golfo dalla minaccia iraniana. Quella vicenda ha contribuito in maniera significativa alla decisione di Mohammad bin Salman e Mohamed bin Zayed di riavvicinarsi all’Iran e coordinarsi con i leader della Repubblica Islamica in maniera organica e sostanziale; collateralmente, gli eventi del 2019 hanno anche spinto i leader del Golfo a guardare ad est, verso la Cina, in materia di sicurezza geopolitica oltre che di investimenti commerciali.

La debole risposta americana alle recenti aggressioni iraniane scontenta sia i monarchi del Golfo che parte degli ufficiali americani. In una prima dichiarazione dopo il sequestro della prima petroliera, il portavoce del dipartimento di Stato Vedant Patel ha riaffermato il disaccordo americano per la pratica iraniana, ma senza minacciare risposte specifiche. “L’intimidazione delle imbarcazioni e l’interferenza con i diritti di navigazione in acque regionali e internazionali sono contrarie ai principi di legge internazionali e minano la stabilità e la sicurezza della regione. Insieme alla comunità internazionale, chiediamo al governo e alla marina iraniana di rilasciare immediatamente la nave e il suo equipaggio” ha affermato lo scorso 27 aprile. Il giorno seguente, 12 senatori americani hanno inviato una lettera al presidente Joe Biden chiedendo di riabilitare l’istituzione del Dipartimento di Sicurezza Nazionale preposta alla confisca del petrolio iraniano, che da oltre un anno non ha più il permesso di agire contro le forniture energetiche iraniane sanzionate a causa di limitazioni alla policy.

La partita con l’Iran rimane quindi del tutto aperta, ma è difficile pensare che la Casa Bianca -ormai defilata nel discorso mediorientale e surclassata dal ruolo della Cina- comprometta la possibilità di un ritorno a quel trend positivo di de-escalation regionale (e magari anche di un ritorno al tavolo per un accordo sul nucleare) assumendo una postura più intransigente proprio ora.

Dacci ancora un minuto del tuo tempo!

Se l’articolo che hai appena letto ti è piaciuto, domandati: se non l’avessi letto qui, avrei potuto leggerlo altrove? Se non ci fosse InsideOver, quante guerre dimenticate dai media rimarrebbero tali? Quante riflessioni sul mondo che ti circonda non potresti fare? Lavoriamo tutti i giorni per fornirti reportage e approfondimenti di qualità in maniera totalmente gratuita. Ma il tipo di giornalismo che facciamo è tutt’altro che “a buon mercato”. Se pensi che valga la pena di incoraggiarci e sostenerci, fallo ora.