La narrativa proposta dalla stampa liberal-progressista sulle manifestazioni negli Stati Uniti è la seguente: la polizia (bianca) è brutale, solo con le persone afroamericane, e la colpa è – soprattutto – del presidente Donald Trump e del suo “razzismo”. come testimoniano diversi articoli usciti in questi giorni.

Secondo un editoriale pubblicato sul New York Times, per esempio, Trump e i poliziotti violenti hanno molto in comune. Il regista Michael Moore, intervistato da Repubblica, “non minimizza i momenti di violenza” dei “manifestanti” (ma nemmeno li condanna apertamente, ndr) ma “cerca di leggerli”. “Al di là dei provocatori e dei criminali – spiega Moore – vedo una massa enorme di persone che non si fida più del governo e della polizia, che ha visto troppe promesse non esaudite e troppi abusi non puniti”.

L’ipocrisia della sinistra Usa contro Donald Trump

Moore va oltre, con l’immancabile senso di colpa che affligge ogni benpensante progressista che si rispetti: “Parliamo di un intero popolo che discende da chi è stato trasportato qui in catene, e che per centinaia di anni è stato stuprato, ucciso, incarcerato e abusato: nessun bianco potrà mai capire interamente cosa significhi ciò”.

Al di là del senso di colpa quasi patologico – lo stesso che conduce alla furia iconoclasta che porta alla rimozione dei memoriali e monumenti confederati e ad abbattere le statue, cancellando così la storia – sarebbe interessante ricordare a Moore e alla sinistra americana, innanzitutto, che la polizia ha giurisdizione esclusivamente in un determinato Stato, e dunque non dipende direttamente dal presidente degli Stati Uniti d’America.

Il caso del Minnesota, poi, è emblematico: il sindaco di Minneapolis è Jacob Frey, un democratico, così come lo è Tim Walz, governatore dello Stato da cui dipende direttamente la polizia locale. Eppure l’unico tirato in ballo da tutti è sempre lui, il Presidente Usa Donald Trump. Nessuno, infatti, ha messo in discussione l’operato di Frey e Walz o chiesto le dimissioni dei due esponenti dem. Saccheggi e violenze stanno accadendo in città perlopiù governate da sindaci democratici e liberal.

La famiglia nel mirino della politica dell’identità

La furia politicamente corretta si abbatte anche contro la famiglia. Come ha ricordato Tucker Carlson nel suo ultimo monologo su Fox News, sul web è possibile vedere un video che mostra una ragazza mentre si scaglia contro sua madre e suo padre, colpevoli di non essere “sufficientemente leali” nei confronti di Black Lives Matter. In un altro video una quindicenne di Louisville si mostra mentre dice di odiare la sua famiglia, definendo i suoi genitori “razzisti”. Secondo un’opinionista di nome Tim Wise, intervenuto sulla Cnn, le famiglie bianche dovrebbero far sapere ai loro figli quanto è difficile la vita dei loro amici afroamericani. L’infanzia felice, infatti, è segno di razzismo. Come si guadagna da vivere Tim Wise? Facendo l’insegnante.

Nessuno nega che per la comunità afroamericana la vita possa essere più difficile e che esistano delle profonde diseguaglianze sociali che dovrebbero essere affrontate. Così come è altrettanto innegabile la brutalità della polizia americana. Ma alimentare la politica dell’identità non farà diminuirà le diseguaglianze e alimenterà le tensioni sociali a dismisura: esattamente ciò che sta accadendo. Così come non migliorerà le cose addossare tutte le colpe a Donald Trump e alla sua amministrazione: un comodo escamotage per pulirsi la coscienza e fare campagna elettorale in vista delle prossime elezioni presidenziali di novembre.

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