Steve Bannon è sbarcato in Italia. Le elezioni politiche hanno dato modo al “principe oscuro” di tastare il terreno anche nel belpaese. L’ex Chief strategist della Casa Bianca ha detto di sognare un governo formato da MoVimento 5 Stelle e Lega per Salvini premier. L’ex guru di Donald Trump, poche ore prima dello spoglio elettorale, aveva percepito un clima simile a quello che aveva preceduto la vittoria del Tycoon negli States. Una sensazione che si è rivelata corretta. Almeno in relazione allo sconvolgimento della stratigrafia elettorale. 

La passeggiata di Bannon a Roma, però, non è stata né casuale né limitata allo “studio” della situazione politica. L’intento dello stratega, che nel frattempo sta viaggiando in lungo e in largo per l’Europa, sembra quello di fondare una vera e propria “internazionale populista”. Nel 2019 è previsto il rinnovo del parlamento europeo e nel vecchio continente sembra spirare un vento sovranista. Alain de Benoist, proprio in un’intervista per Gli Occhi della Guerra, aveva consigliato di non dare per morto il populismo. E aveva avuto ragione. 

Marine Le Pen è impegnata nella rifondazione del Front National. Il congresso attualmente in corso a Lille rappresenta uno spartiacque: il sovranismo francese è chiamato alla rinascita dopo la doppia sconfitta subita anche a causa della nascita del “macronismo”. Alternative Fur Deutschland, soprattutto per via dello stallo sulla creazione di un governo, è dato in netta crescita. Il “populismo” si sta insediando anche in Germania. L’FPO di Strache è l’unica formazione populista europea che è sinora riuscita a sedere tra gli scranni di un governo: quello austriaco. L’Ukip di Nigel Farage, dopo il conseguimento della Brexit, sta vivendo una doppia crisi: organizzativa e di consenso. L’olandese Wilders, nonostante i proclami, continua ad essere sondato su percentuali piuttosto minoritarie. 

Poi c’è il cosiddetto “gruppo Visegrad”: Diritto e Gustizia in Polonia, Fidezs in Ungheria e Ano in Repubblica Ceca. Nazioni e formazioni politiche accomunate dalla critica alle direttive dell’Unione europea, dalla difesa dei confini nazionali e dal peso sempre maggiore del cattolicesimo tradizionale. Oltre che dall’antica appartenenza all’impero austro-ungarico. Il “populismo“, insomma, è ormai rappresentato in tutti gli stati europei. Le elezioni del 2019 come detto, sono alle porte e Steve Bannon si aggira come un’ombra per l’Europa incontrando più leader possibili. Tutto, insomma, lascia presagire la nascita di una “Internazionale populista”. Nasce pure l’esigenza di porsi alcune domande. 

Il populismo da solo non basta. Tutte le consultazioni elettorali degli ultimi due anni hanno sancito un dato incontrovertibile: le istanze sovraniste, quando non si alleano con quelle “popolari”, vengono sconfitte nelle urne. L’elezione di Sebastian Kurz a cancelliere austriaco è lì a testimoniare questo assunto. Pensare che i populisti europei possano, da qui a un anno, avere la maggioranza a Strasburgo è abbastanza utopistico. Ma non si sa mai. Quello che bisogna chiedersi, però, è se possa esistere una “internazionale” populista. Una delle caratteristiche centrali del “populismo”, del resto, è la difesa degli interessi nazionali. Le “destre europee”, compresa quella italiana, hanno sempre avuto degli accenti antiamericanisti. Possono, quindi, gettarsi nelle braccia di uno dei leader dell’Alt-right a stelle e strisce? La “guerra dei dazi” di Donald Trump non sembra avere troppo a cuore le esigenze dei popoli europei. E l’internazionalismo, per natura e definizione, mira alla solidarietà e alla cooperazione. La costituzione di una “internazionale populista”, insomma, potrebbe portare con sé una contraddizione in termini. 

L’internazionale comunista, ancora, era basata sulla supremazia dell’Unione sovietica e del Pcus. Sovranismo e comunione d’intenti sì, ma su base gerarchica. L’interesse nazionale di ogni stato potrebbe corrispondere allo svantaggio di un altro. Ecco perché, almeno senza una nazione traino, sembra difficile ipotizzare che tutti questi “populismi”, anche molto diversi tra loro, possano convivere all’interno di un’unica struttura programmatica e organizzativa. Un bel rebus per Steve Bannon, che dovrebbe far convivere l’ideologia dello Stato-nazione con l’interdipendenza degli interessi  della sua “internazionale”. La sensazione, in definitiva, è che i sovranismi, per definizione, possano esistere solo su base nazionale. E che Bannon, nel caso volesse realmente dar vita ad un contenitore politico di questo tipo, non stia tenendo troppo in conto la storia d’Europa.  

 

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